A rebours
Persefone a Demetra
Fu stupore la porta
l’accesso all’abisso
che da sotto mi afferra.
Ebbi colpa?
Un istante: dalla terra
(la stessa
sulla quale hai il più biondo, materno
potere)
spuntò un fiore
diverso da ogni tua parola
che mi spiegava il mondo
e lo rendeva eterno.
Fu la gioia
di chi scopre che ignora
nell’attimo il mistero.
Dallo strappo
uno strappo più fondo
il cieco piacere
voragine
immagine del crollo.
E nel corpo fremente
il silenzio.
Quel silenzio
s’impasta anche adesso
col respiro.
Io lo so, tu lo senti
che sale
tra pietre e radici
oltre strati di assorte visioni
e di inerte materia
e ritorna ritorna ti cerca
cerca il sole nella tua voce
una terra
dentro la terra
un’urgenza di pace
ti dice:
non ho male
perdona l’assenza.
Demetra a Persefone
Non seppi all’inizio. Il tuo vuoto
un precipizio, silenzio
senza fondo senza appigli
germoglio strappatomi dal petto
poi l’orrore di chi crede
qualcuno più potente del suo amore
infine la vendetta
nel lutto esteso al mondo
nel buio delle messi.
Ma adesso
sono vecchia sono nuova
e questo lutto
è un fiume che disseta
ciò che io stessa un giorno ho prosciugato
unisce fonte a estuario
capisce
il giusto costo di ogni cosa
fa posto, sa ritrarsi
perché il mondo accada anche in sua assenza
e in cima a tutto
rischiara le sue acque
rallenta, illumina le sponde
già ti sente
non teme più per te
non ha più fretta
solo scorre
e scorrendo ti aspetta.
Toledot[1]
Il popolo che veglia
più di altri la memoria
non ha alcun lemma
che racchiuda
la storia nel passato.
La coniuga al futuro
ne dice il potere di dar vita.
E inventa dentro il nome
che affida alla persona
una casa[2]:
chi nasce costruisce
chi lo ha generato
quasi non esistesse un solo flusso
tra quello che è a monte
e ciò che è a valle
ma tutto fosse un tempo, un orizzonte
che s’inoltra
se s’inoltra ogni sua parte
e si rinnova:
memoria è il passo avanti
il non ristagno
è anche il dolore
che nella muta della pelle
non si vergogna
della leggerezza che in sé fiuta.
[1]In ebraico non esiste un termine che corrisponda propriamente a “storia”. “Toledot” si traduce solitamente con “generazioni”.
[2] Il nome ebraico spesso è seguito dall’indicazione del padre e della madre, con l’aggiunta di “ben” (figlio di) o “bat” (figlia di). “Ben” e “bat” richiamano il termine “bait” (casa).
Vedremo chi siamo
non esatto ma giusto
ogni tratto
ogni segno già visto
ma nuovo
ogni suono
embrionale e compiuto
come frutto
contenuto nel seme
non da solo ma insieme
a intemperie
smottamenti bagliori
dolci scorie perfette
e mutate
in un solo contatto
che abbraccia
ciò che adesso ci sfugge
della vita
questa vita
che pretende una traccia
e si scorda
di lasciare la presa
fino a che
sarà infine l’attesa
non risolta
un’arresa indolore
e ogni cosa Presente
sarà assenso persino
il tacere del mondo
e il suo senso
da lontano vedremo chi siamo:
non più noi
solo quello che amiamo
non esatto ma giusto
ogni tratto
ogni suono già udito
ma nuovo
Raffaela Fazio (Arezzo 1971) lavora a Roma come traduttrice. Nel campo dell’iconografia, ha pubblicato: Face of Faith. A Short Guide to Early Christian Images (2011) e La corona che non appassisce. L’escatologia nella scultura funeraria dei primi cristiani (Contatti, 2020). È autrice di vari libri di poesia, tra cui: L’arte di cadere (Biblioteca dei Leoni, 2015); Ti slegherai le trecce (Coazinzola Press, 2017); L’ultimo quarto del giorno (La Vita Felice, 2018); Midbar (Raffaelli, 2019); Tropaion (puntocapo, 2020); A grandezza naturale. 2008-2018 (Arcipelago Itaca, 2020); La meccanica dei solidi (puntoacapo, 2021); Un’ossatura per il volo (Raffaelli, 2021). Si è occupata della traduzione di Rainer Maria Rilke, le cui poesie d’amore sono state raccolte in Silenzio e Tempesta (Marco Saya, 2019). Una selezione di poesie tradotte di Edgar Allan Poe uscirà nel 2021, sempre con Marco Saya Edizioni (Nevermore. Poesie di un Altrove).
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