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Emanuele Occelli (Dronero, 1926 – Torino, 2017) è stato un poeta e pianista italiano. Si diplomò al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino e poi in Lettere moderne sempre a Torino, nel 1950. Tenne concerti sia in Italia che all’estero. Fu inviato speciale de Il Popolo Nuovo e consulente musicale alla RAI-TV presso le sedi di Milano e di Torino. Ha insegnato al Conservatorio di Torino dal 1964 al 1995. Ha pubblicato una quindicina di libri in versi dal 1955 (Prime liriche, Milano) e fino al 2011 (L’ultimo canto del cigno, Como, Hattusas, 2011). Gran parte della sua opera è compresa in Poesie complete (in tre volumi, Hattusas, 2000-2002). Ricerche sulla sua poesia sono contenute ne Il leggio incantato (Genesi, Torino, 1992) di Silvio Bellezza, ne Il sogno condiviso (Salerno, 1993) di Lorenzo Morandotti e su La difficile amicizia delle parole, di Mario Marchisio (Achille e La Tartaruga, 2019).
Scrive della sua poesia Giorgio Barberi Squarotti (da Poesia in Piemonte e della Valle d’Aosta, puntoacapo, 2012, p. 464): “L’inconfondibile sigla della poesia di Emanuele Occelli […] è stata la compatta ampiezza del discorso, il respiro fortemente scandito in larghi versi fra il narrativo e il meditativo, il senso di ambizione alla totalità da racchiudere esemplarmente nella vastità dei testi, che assembrano la scansione biblica dei testi sapienziali”. Mario Marchisio (cit.) scansiona “i principali temi della sua poesia, dalla commossa rievocazione dell’infanzia e della febbrile adolescenza ai personaggi che le hanno accompagnate […] nello svolgersi di un romanzo familiare che attira nella propria orbita le donne amate ed il figlio, con cui il poeta intesse un dolente, silenzioso dialogo”
A Nazim Hikmet
Anch’io sono entrato nella stagione dei versi tristi
Nella stagione delle piogge amare d’un nuovo autunno
Che piange le sue lacrime sui morti nei cimiteri
Costellati di fiori sopra i marmi e le croci sparse
Fra i cumuli come antenne di strani televisori
E vado lungo le strade a osservare la vita e intanto
Spero di vivere ancora per poco senza dolore
Nel giorno di tutti i santi di tutti i puri di cuore
Che piangono chi non è più su questa terra di pena
Dove noi vivi del momento siamo come sospesi
E rigettati dell’eternità in questo spazio-tempo
Così meraviglioso così pieno di lancinanti
Passioni e sorprese così precario e senza domani
Dove gli amori brillano e si spengono come lucciole
E tutto passa e scorre come un fiume verso la foce
E infine sono stanco del fluire delle stagioni
Stanco d’amare stanco di soffrire senza ragione
E questa dev’essere la vecchiaia con le sue tristi
onde dove si cade per immergersi senza fine
In un vortice d’oblio delirante e dunque attendiamo
Anima mia noi due così felici un tempo così
Pieni d’amore così innamorati di questa vita
Che pareva infinita e si cancella dal nostro cuore
da La stagione dei versi tristi, Genesi, 1994
La luce in cucina
E’ già l’ora di accendere
La luce in cucina: così, per abitudine,
Come ai tempi passati. Forse
Mi fa un po’ compagnia,
Non mi sento più solo.
Ma è soltanto illusione: la luce
Nell’alloggio deserto
Ha un aspetto spettrale:
Sui mobili già bianchi
Ora aggiunge bianchezza. Fantasmi
Della mia vita, gli oggetti
Rilucono apparendo
Più irreali del sogno.
Sarà lunga la notte,
Sono appena le sette
D’una sera d’inverno.
Dentro di me, il buio
E’ rimasto più buio
Di prima. La luce in cucina
E’ solo un espediente
Per combattere l’ansia
Che si sente nel petto
Al cospetto del niente.
da L’acqua del Lete, Ed. dell’Orso, 1992
Per te
Ti pettini allo specchio e mi guardi
Dici che questo è amore
C’è un mondo intero nei tuoi occhi
Il brivido che ci scuote è amore
La tristezza la lunga attesa
Il pensiero l’assenza di un pensiero
Dici che questo è amore
Ti stringi a me come un’edera
Non esiste niente al mondo
Fuori di questo amore
Perché questo questo è amore
Partire per un lungo viaggio
Morire di solitudine
Solcare l’oceano
Come ala di gabbiano
Verso il mattino del mondo
Dove anche il silenzio è amore
da Con inutili fiori tra le dita, Rebellato, 1980