Su “Flipper” di Emilia Barbato (Officina Coviello, 2022)

di Camilla Ziglia

Emilia Barbato ha affidato alle mie mani un’esile plaquette, con delicate pagine azzurrine, leggera ed essenziale nell’impaginazione, dicendomi “Ci tengo tanto a questo mio Flipper”. Come cosa preziosa l’ho serbato e letto, in ascolto dell’animo di Emilia che chiamava in gioco il mio dentro un immaginario collettivo molto ampio. Tutto inafferrabile, tutto in espansione e sfrangiamento di confini, un viaggio nel sentire e nel potere di proiezione del linguaggio.
Il titolo allude a un esperimento a quattro mani di scrittura automatica condotto Charles Simic con James Tate: “flipper di associazioni” (cit. Paul Auster). La Barbato però, pur seguendo una linea psicografica, attinge suggestioni non da un’altra voce poetica né direttamente da voci inconsce proprie o collettive, bensì dal linguaggio già codificato sia orale (trasmissioni radiofoniche o televisive), sia scritto (quotidiani, riviste, libri). L’inconscio qui, più che creatore è organizzatore del materiale casuale accolto, assume il ruolo ordinatore e selezionatore solitamente coperto dalla ratio.
Tangente quindi al Surrealismo di Bréton, la poetessa ha certo presente il contributo di Contini sul linguaggio pascoliano: mi riferisco all’assunzione di un linguaggio “post grammaticale” nella scelta di tecnicismi, termini del linguaggio ornitologico, botanico amplificati e amplificanti nella propria sonorità inusuale, capaci di aprire suggestioni, avvicinare il lettore a qualcosa di noto e al contempo inedito. La selezione e l’accostamento lessicale e sintattico hanno base emozionale, sono guidati dai suoni e dai plurisensi. Frequenti quindi le rime, le annominazioni, allitterazioni, i giochi di parola. La libera interpretazione di questi mulinelli polisemici porta il lettore a fare i conti con se stesso molto prima che con l’autrice.
Nella poesia d’apertura la dichiarazione di intenti (“Come lega a nuova madreperla la lingua/ … / … d’avanguardia”) e in quella di chiusura gli esiti nei versi metapoetici “una scrittura che muove la cura / dall’atto all’intenzione”. 
Barbato ha condotto una ricerca di alta profondità negli archetipi dell’umano e del linguaggio, le suggestioni più affascinanti per la mia sensibilità sono state quelle di matrice antropologica preistorica, forse guidate da documentari di cui mi scorrevano in lettura chiare visioni immaginarie. Un esempio “Lascaux”, dove il nome basta ad accendere colori di sangue e terra, fuochi, riti arcaici “Nulla è reale, nulla è certo / fuorché la fonte / ultraterrena la radice figurativa / tra uomo e spiriti. // Danno notizia / la donna bisonte, il megalocero, il travertino”.
Anche nella meditazione sul linguaggio Barbato è memorabile: ne svela la profondità di aggancio con l’archetipo in salti inauditi dal primitivo al preumano all’oltreumano, ma anche la sua fallibilità (“I tre ossi”, “Aliossi e poemi”), i frequenti precipizi, il concetto, disincantato per un poeta, dello scritto -non dello scrivere- che salva.
Sarebbe ingenuo non fare i conti anche con ciò che non si vorrebbe emergesse da un simile rapporto con la scrittura: violenza, crudeltà, dolore affiorano e si ricompongono nel disegno complessivo della natura, in cui è inscritta quella umana (splendida la chiusa di “Allusione”: “crudele con più / indifferenza cresce / un pensiero criminale. / Chiedo l’origine al muto / geroglifico, alla natura”).




Vacuità

Dal cumulo di pietre
un coltello e un veleno,
grani gli occhi
luminosi da uccello.

L’anello di lustrini
si lega al passato in una sottigliezza
nebulosa, la stella di Planck rimbalza
riespande, antico scorre il tempo
interno al mondo
l’oro del pianoro,
la forma delle forme
l’ordine, le cose…




Boxes to foxes

Libero [in una qualsiasi alba]
il salto improvviso di mille metri.
Le Gole-Ansimanti-distano come angeli
atroci.
Appena innevata
sotto un tetto di rami la volpe
leva gli occhi ai muti ghiacciai
al bacino primevo
e fiuta la meraviglia della profondità
celeste, inarrivabile.




Lascaux

Quel primo passo imprime
la cosa in sé
su muri, pezzi di legno, ossa.
In un post scriptum gli uccelli partoriscono
su dorsi di stambecchi.

Nulla è reale, nulla è certo
fuorché la fonte
ultraterrena la radice figurativa
tra uomo e spiriti.

Danno notizia
la donna bisonte, il megalocero, il travertino.




Il vicolo del nulla

Anche se dai suoi quattro volti
il vicolo del nulla
dà da bere alle rose
lego a me un giglio
e dove la mente raggela
brucio il blu, il sacro
fuoco del papavero negli occhi,

incenso, sigillo, fede…




Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971 e risiede a Milano. I suoi testi sono apparsi in diverse antologie, sulla rivista Il Segnale, Poezia di Bucarest, Immaginazione delle Edizioni Manni e sull’Aperiodico ad Apparizione Aleatoria delle Edizioni del Foglio Clandestino. Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011) è la sua prima raccolta. Seguono Memoriali Bianchi (Edizioni Smasher, 2014) Capogatto (puntoacapo Editrice, 2016), Il rigo tra i rami del sambuco (Pietre Vive Editore, 2018), Nature Reversibili (LietoColle, 2019), Flipper (Officina Coviello, 2022), Primo Piano Increspato (Stampa 2009, 2022)

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