di Camilla Ziglia
già in “Letteratura e dialetti”, Anno 2022 – N. 15, pp. 133-134
Franca Grisoni pubblica la sua ultima raccolta di poesie nella collana «Gialla Oro» della Fondazione Pordenonelegge e della casa editrice di Alessandro Canzian. Si tratta di una collana riservata ad autori che godono di ampio riconoscimento critico nel panorama letterario italiano.
Il mondo si consegna a Grisoni attraverso la sua lingua madre, il sirmionese; ma l’autrice supera certi limiti lessicali senza irrigidirsi nelle forme conservative del linguaggio tradizionale e senza ricorrere a prestiti estrinseci. Tra i neologismi più interessanti alcuni composti: il tenero «vero-per-du» ‘vero-per-due’ (p. 32) e il topico «el vèrs-n’-endoe» ‘il verso-un-dove’ (p. 24) che aggiunge la meta e il doppio senso di ‘verso’ al significato di ‘direzione’.
Anche il metro risuona di forme autoctone e personalissime: le brevi liriche fanno dell’endecasillabo un verso raro, si svincolano dagli schemi rimici in cerca di allitterazioni, paronomasie, omonimie; restituiscono le ruvidezze del bresciano costellandole di camei di profonda dolcezza. Ogni testo è corredato di traduzione italiana che ne veicola la portata letteraria a livello nazionale.
Per una precisa scelta editoriale Le crepe si propone al lettore senza introduzione o postfazione e Grisoni apre con una sezione metapoetica programmatica e altamente polisemica, propedeutica alla decodifica del tessuto stretto di immagini e concetti successivi.
La scrittura viene intesa come un possibile che si invera («en pusibol» ‘un possibile’, pp. 18 e 59), che passa da potenza ad atto grazie all’azione concreta delle mani dell’autrice: etimologica arte del fare. Un qualche non ancora («’n qualc gnamó» ‘un qualche non ancora’, p. 13) cerca di farsi dire sbocciando o scoppiando (frequenti in più contesti i verbi bötà e s-ciopetà), chiama e cerca di darsi, ricomporsi almeno in parte al contingente; esso irraggia affascinanti ambiguità che lungo le sei sezioni slittano su diversi piani di senso, a tratti distinguibili, mai pienamente risolvibili: ora s’informa nella poesia (la punta delle matite della lirica proemiale), ora in Cristo «parola che völ / fase scultà» ‘parola che vuole / farsi ascoltare’ (p. 20), ora nei cari defunti e in uno su tutti, l’amato sposo: «amó ’l me ciama: / averte le sò ma / le bat en del spetam» ‘mi chiama ancora: / aperte le sue mani / battono nell’aspettarmi’ (p. 29). Arte, fede, matrimonio sfrangiano nell’amore i propri confini concettuali e si abbracciano.
La mano che tiene le matite desidera, attende e spera di essere condotta, trovare il ‘verso’; sa di poter scegliere se scrivere o meno e di doversi presentare al compito nuda e disposta a bruciarsi. Il bianco e il nero della carta e dell’inchiostro voltano ambiguità in giochi di luce: ‘i possibili’ vivono in zone chiaroscurali perché il buio perde le ombre e la piena luce riempie tutto di sé ma acceca, però di notte la ragione cede e appaiono più chiari i misteri: «de not el so pö bé» ‘di notte lo so meglio’ e «du scür mesiacc / bizigui per el dé» ‘due bui mescolati / vertigini per il giorno’ (p. 28).
Anche il vuoto si manifesta in diversi contesti: come pagina bianca, come lutto (sulla linea della storia d’amore sensuale e sublime, in vita e in morte, che attraversa la produzione lirica dell’autrice), come spazio di senso da colmare, fessura da cui sfuggono la luce, l’aria, l’ineffabile. Ecco le crepe. Il corpo tutto di Grisoni s’infila negli spazi rarefatti della mancanza e cerca di riempirli, ma ‘ci balla dentro’ come in un abito largo; le sue mani tastano le pareti delle crepe e a guisa dell’arte giapponese del kintsugi (p. 15) restituiscono a rinnovata bellezza ciò che si è spezzato (p. 109), quei pieni che non vogliono cambiare né ricomporsi (p. 55).
Nelle fratture anche il senso del guasto, da cui muove la sezione Us – Voci su temi umanitari, sociali, ecologici e religiosi cari all’autrice, voce per chi non ne ha. La natura, vittima di danni ambientali, viene inquadrata da vicino, con amorevolezza e rispetto, nella sezione Tender – Custodire: animali o insetti intenti alle loro minute e misteriose occupazioni (nel «so da fa» ‘suo da fare’, p. 74) sono metro di paragone o punto di vista altro da cui osservare e osservarsi. Simbologie dendriche tornano come fondanti nel loro attingere dalla terra per germogliare al cielo e affondarvi i rami.
Il vuoto delle crepe è anche la condizione della perdita («che ’l sapes el perder / el me pö grand guadagn?» ‘che sia il perdere / il mio più grande guadagno?’, p. 39) attraverso la quale tesorizzare il poco che resta, accogliere con gioia la bellezza e liberarsi di ciò che trattiene entro i limiti della vista e della ragione.
Il lettore è coinvolto in interazione dialettica da questo soliloquio colto e meditato, interrogante e autentico, ma rispettoso dell’intimità, perché Franca Grisoni è potente e al contempo riservata.
Selezione di testi:
dalla Prima Sezione, “Ombre”
*
Gh’è chi gh’à ‘mparat.
Gh’è chi gh’à ‘nsegnat.
Ma a olte, a olte
nel nöf le va le ma
e me le varde
e vede el vöt spalancat
che ’l va a ’n sò da fa
a ’na qualc vita scundida
che toca sul spetà
a ’qualc gnamó
che forse, forse,
el se darà al mèi
töt so che mai
gh’ares enduinat
che forse, forse,
dal sò büs negher,
forse, söl bianc
el podares aca bötà.
C’è chi ha imparato. / C’è chi ha insegnato. / Ma a volte, a volte / nel nuovo vanno le mani / e me le guardo / e vedo il vuoto spalancato / che va a un suo da fare / a una qualche vita nascosta / che tocca solo aspettare / a un qualche non ancora / che forse, forse, / si darà al meglio / tutto suo che mai / avrei indovinato / che forse, forse, / dal suo buco nero, / forse, nel bianco, / potrebbe anche germogliare.
*
Che lüs la lüs.
La lüs, che quanta,
ma tanta, che orba
la m’à tegnit e töt,
ma töt, per ela
el m’è sparit.
Apena ela, la lüs,
el vöt la l’à ’mpienit.
Che luce la luce. / La luce, quanta, / ma tanta, che orba / mi ha tenuto e tutto, / ma tutto, per lei / mi è sparito. / Solo lei, la luce, / il vuoto lo ha riempito.
dalla Seconda Sezione, “Per du – Per due”
*
Se m’enzenoce
vegnendo ch a dacquà
el tò giardì sarat
la sponzi fin al sanc
la tò curuna de spi
dal picol pomagrà
che te cres sura.
I laer fericc
sö te i cula
picole gose rose
le vé zo a ’ncontrat.
I cret, i laer, de dà
per chel poc de sanc,
ma i vé a domandà
chel vero-per-du
che l’era stat asé
e no l’è pö stat.
Se mi inginocchio / venendo qui a irrigare / il tuo giardino chiuso / punge fino al sangue / la tua corona di spini / dal piccolo melograno / che su te cresce. / Le labbra ferite / su te colano / piccole gocce rosse / scendono a incontrarti. / Credono, le labbra, di dare / per quel poco di sangue, / ma vengono a domandare / quel vero-per-due / che era bastato / e che non è più stato.
*
Chi caa ghe n’àl mia asé?
Töt el s’è töt sö
e ’l pèta gnamó lé.
Che scael che nel vöt
che ch no gh’è pö nient.
Se pöl? Pö sensa amó de isé?
Se pöl, sicür, se pöl
se lü el sigüta
sö l’ültim tochelì
de sgös che ’l se sfarina
sfantat gnamó del töt.
Chi toglie non ne ha abbastanza? / Tutto si è portato via / e ancora non smette. / Cosa scava cosa nel vuoto / che qui non c’è più niente. / Si può? Più senza ancora di così? / Si può, sicuro, si può / se lui continua / su l’ultimo pezzetto / di guscio che sfarina / sfatto non ancora del tutto.
Franca Grisoni scrive nel dialetto di Sirmione, dove è nata e dove vive. Ha pubblicato: La böba, 1986 (Premio Bagutta opera prima); El so che te se te, Pananti 1987 (Premio Empoli); L’oter, Einaudi 1988; Ura, Pegaso 1993; De chi. Poesie della penisola di Sirmione, Scheiwiller 1997 (Premio Viareggio); La giardiniera, L’Obliquo 2001; L’ala, Liboà, 2005 (Premio Biagio Marin); Passiù, L’Obliquo 2008; Poesie, Morcelliana 2009 (Premio Salvo Basso, Premio Tirinnanzi); Compagn, Morcelliana 2012 (Premio Pontedilegno Poesia); Medea, Fondazione Etica-L’Obliquo 2012; L’ös / L’uscio, L’Obliquo 2013; Croce d’amore / Crus d’amur. Passione in versi ispirata dai capolavori del Romanino, Interlinea 2016; Il filo srotolato. Autismo tra fotografia e poesia, con fotografie di Adriano Treccani, Scholé Morcelliana 2021; Le crepe, Pordenone Legge- Samuele Ed.
Ha pubblicato prose a commento di opere di scrittori e artisti, fra cui Appunti sul far critica di Cesare Garboli, Pananti,1992; Nel tempo di Mattioli, L’Obliquo 2005. Alzheimer d’amore, Poesie e meditazioni su una malattia, Interlinea 2017. Sue poesie son state pubblicate su quotidiani, riviste e antologie. Collabora al «Giornale di Brescia» e a riviste tra cui: «Paragone», «Servizio della parola», «Erba d’Arno», «Madre», «La Voce del popolo», «C & D: città e dintorni», «Letteratura e dialetti», «Filigrane», «Psicogeriatria». Cura letture di testi sacri e poesia, con progetti promossi dal Centro Teatrale Bresciano – Teatro Stabile di Brescia e altri enti culturali.