Con le ali verso, oltre e dentro l’Infinito
di Camilla Ziglia
La raccolta Con le ali di un bambino conduce la ricerca di Dario Marelli su un filo cronologico: ripercorre, come fasi di un giorno, la crescita e la formazione dell’io poetico. La consequenzialità logico cronologica però è solo apparente, non sostanziale, perché mette in luce come la dimensione dell’adulto non completi alcun quadro di certezze e non conduca al perfectum. L’adultità comporta la presa di consapevolezza, la messa in atto di meccanismi di difesa, resistenza o adattamento sempre più strutturati, ma non una lettura sinottica coerente e univoca del reale. L’età della fanciullezza vissuta dal poeta si fa universale nel momento in cui entra in poesia come elemento interrogante e destabilizzante. Il bambino di Marelli è alato: morbidamente dionisiaco se la matrice è nietzschiana, ingenuo o messaggero se pascoliana o classica, certo privo della sicurezza un po’ arrogante di un Peter Pan.
Prova che lo stupore e la dimensione fantastica dell’infanzia non restano tasselli del passato, ma si restituiscono sempre, confondendo la linea del tempo, si ha nell’ultima raccolta, L’Infinito dentro, dove si apre una perdita di dimensione sia spaziale, sia temporale, che si risolve nell’uno, l’io che contiene in sé e alimenta ogni contraddizione: ogni gnoseologia razionale e insieme ogni assenza di regola e misura.
L’Infinito maiuscolo del titolo si presenta in grafia minuscola nella poesia di apertura (L’infinito dentro), dove l’autore duplica la natura dell’illimitato: un Infinito assoluto, chiamato per nome come un dio e un altro infinito (minuscolo) generico, non posseduto, impersonale, più vicino all’avverbio che al sostantivo, cui ha accesso il “tu” poetico (donna e amore, saggezza e canone morale). Questa è la terza raccolta di Marelli che riporta il lemma “infinito” nel titolo, delineando un lungo cammino di tensione e ricerca metafisica. A quel dio cui tendere assocerei la prima (Verso l’infinito, del 2016); tre anni dopo, Oltre l’infinito tenta di far coincidere l’infinito con l’io/tu e ne constata appunto da un lato l’impossibilità di possesso, dall’altro l’insufficienza, da cui muove l’impeto paradossale di trascenderlo. La ricerca sul tema giunge a maturazione qui, nella presa d’atto che l’incommensurabile è introiettabile e lo è addirittura non nel solo io o tu, ma in un io-tu-mondo in dialettica di dimensione agapica. Questa dimensione permette di non ridurre la dialettica a una contrapposizione di tesi, ma sintetizza in un’espansione infinita i tre elementi io-tu-mondo, quasi portandoli a coincidere, pur mantenendo le loro unicità. Nel disegno in copertina la chiave-infinito è racchiusa dentro un grembo che insieme la contiene e la riceve da un filo verticale dall’origine sconosciuta, perduta nel lontano.
Non può che sciogliersi sensibile alla pienezza la poetica di Marelli, coraggiosa nello sguardo diretto alla felicità; senza ignorare il dolore (sarebbe sciocca illusione), lo riconduce e ridimensiona fuor di ossessione, ne fa interlocutore serio, mai totalizzante né manipolatore. L’amore va conquistato, coltivato e aiutato a ricomporre le inevitabili lacerazioni; la realizzazione, il raggiungimento dei traguardi è breve pienezza che da una cima muove solo alla discesa. La felicità non è facile e l’intento etico di Dario è elevato, schiettamente edificante.
La raccolta conduce ai luoghi del cuore del poeta: nella prima parte prevale la Sardegna, le ampiezze della costa in urto selvatico con i territori aspri dell’entroterra; incanto di natura incontaminata e misteriosa, mare, venti e cieli sembrano appartenere ad un altrove. La seconda ambientazione è la montagna del Marelli alpinista, le salite alla Grignetta, vetta frequentata come un tempio. Non è un semplice passaggio dalla dimensione orizzontale del mare a quella verticale dell’ascesa, perché le dicotomie vengono sempre problematizzate, sia nei contenuti (Sul greto del fiume, p. 44, intreccia immagini nelle due direzioni), sia nella forma: accostamenti antitetici inediti sorprendono disegnandosi su uno sfondo di lirismo classico (la forza nella levità dei gesti / mancati, p. 12; fra i rami di un tramonto /… / inizio che non muore, p. 12); frequente e raffinato anche l’uso della sinestesia (ho ascoltato i tuoi occhi, p. 42), del chiasmo, dell’inversione.
La Natura, dunque, è ambiente pienamente vissuto con il corpo, con i sensi, ammirato, rispettato, si fa talvolta specchio talaltra simbolo e così gli elementi, caricati dei significati della tradizione. Più volte se ne sottolinea la povertà, la spontaneità di donarsi e comunicare con il poco che desta meraviglia: non indigenza, bensì ricchezza altra, che il poeta ha il ruolo di portare a riconsiderare.
Grande protagonista il cielo in tutte le sue manifestazioni anche contraddittorie di luce e buio, colori, nubi multiformi; esso informa di sé l’infinito sia negli orizzonti, sia nel buio fra gli astri. Il vento ha il ruolo di sostenere i voli e di disvelare in maniera improvvisa dissipando nebbie, meno quello di sottrarre o passare; ha a che fare anche con l’armonia musicale dell’universo: suona e fa suonare le foglie, come il mare che sussurra e rumoreggia, o come alcuni strumenti, a corde perlopiù, testimoni tutti del kòsmos nella regola winckellmaniana (… rincorri il tuo pensiero, stretto / tra nuvole di cisto e stuoli di lentisco, / ritroverai ordinate e ascisse, salde / dentro l’anima, colori scintillanti / di bouganville al sole…dove ogni cosa si rimette al giusto posto… -p. 29-). Densi di questa kalokagathìa anche i versi dedicati all’amico estinto Ezio Bosso (qui un pianoforte, p.30). Alla melodia dell’ordine si contrappone però il suono duro della vita umana (p. 26) inautentica o dolorosa, deviata dagli abbagli del potere, dei guadagni, dalle comodità della massificazione o provata dalla malattia/morte, dai disagi economici, dalle ingiustizie: dato l’evidente scopo etico della poesia di Marelli, non sorprende che nella raccolta compaiano anche alcuni testi di tema civile, ad esempio sulla violenza di genere, oppure sulla pandemia di Covid-19 (testi da p. 24 a p. 28).
Al kòsmos si contrappone un chàos che non è solo disordine, sovvertimento di geometrie, ma assume la simbologia del vuoto di ascendenza greca. Vuoto di materia, in opposizione alla bellezza dell’esistente armonioso, e vuoto di certezze, di conoscenza. Il vuoto-chàos è l’apertura, il punto di frana (la biblica terra inanis et vacua).
La terra compare come roccia, più spesso come sabbia a somiglianza dell’uomo e della sua precarietà (p. 48 noi capolavori sulla sabbia / in bocca all’onda ineluttabile / che arriva e ci dilava). Fanno mostra di sé ampie casistiche floreali e ornitologiche dalla nomenclatura pascolianamente precisa e attenta alle suggestioni foniche. La cura del suono e della musicalità del resto è cifra dell’autore, che sa gestire con perizia anche la difficile rima baciata o l’assonanza al mezzo (questo saremo sull’onda che torna, p. 38).
Non sono mai stata sostenitrice dell’importanza fondamentale del dato biografico nella trasmissione e ricezione di un testo poetico, ma constatare la ricerca di senso, la fatica del bene, il saggio distacco dalle lusinghe del successo in un uomo realizzato come Dario sia nell’amore coniugale, sia nella professione, sia nell’arte poetica, aggiunge valore allo scopo edificante di questa raccolta.
La meraviglia accade
La meraviglia accade. Senza preavviso,
in un giardino indifeso di sguardi sorpresi
e -inconsapevole- fiorisce primavere.
E al silenzio adagiato sul cuore
rimanda candore, senza chiedere niente.
La meraviglia accade. Semplicemente.
E quando accade sposta limiti e risposte.
Oltre i confini della gioia.
(p. 19)
Sul greto del fiume
Sul greto del fiume, scabra
fra sassi levigati dal fluire,
una voce di solitudine,
l’espressione dell’esistere
imperfetto. Si cercava l’oro
setacciando l’anima incerta sull’agire
e sempre affiorava con le bolle
l’amara consapevolezza
del vuoto fra le dita.
Oltre le rapide, spensierato
Il palloncino colorato di una bimba,
lo sguardo all’insù, perso
in silenzio tra nuvole dense
di punti di domanda.
E il cielo sorrideva quieto,
dal suo alto, sopra i monti
e la nostra pianura inappagata.
(p. 44)
Asintoti
Scolpire la luce scaglia a scaglia
Svelarne il riflesso, l’impurità,
la smorfia coraggiosa del vivere
oltre le linee di confine,
l’inganno irragionevole del buio.
Esaltare il capolavoro delle forme,
smussarne gli spigoli, i tendini,
il rituale della conta a sera, del bacio
voluto, madre, tra le braccia della vita,
prima di dormire.
Rendere possibile il gesto pulito
la salvezza di un tremito, l’amore
del labbro chiuso su una tazza
di caffè e poi chiedersi quando,
come, perché. Partecipi del miracolo.
E accompagnarsi intatti
a ipotecare l’alba, il candore
di librarsi alti, sopra le foschie,
le esitazioni del passo, la negazione
di essere e di poter divenire.
Così eterni, felici, consapevoli
di valere più del proprio nulla,
della definizione di un limite.
E sprigionarsi liberi da ogni geometria,
asintoti imperfetti, asimmetrici,
magnificamente veri.
(p. 35)
Dario Marelli è nato a Seregno (MB) nel 1967, si laurea in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi, dove vince per due anni consecutivi il concorso “Giovani Scrittori Bocconiani”. Appassionato di letteratura, nel 2014 pubblica la sua prima raccolta di poesie e racconti, Sulla vetta del cuore (Ed. Helicon); partecipa negli anni a diversi premi letterari, conseguendo plurimi riconoscimenti; compare in centinaia di raccolte antologiche; è membro di giuria in alcuni concorsi letterari italiani.
Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie: Verso l’infinito (Vj Edizioni, 2016), In flagranza di Poesia (Montedit, 2017), Oltre l’Infinito (Montedit, 2019), Policromie (Kairòs, 2019), Il cielo tra le vigne (Accademia Barbanera, 2019), Con le ali di un bambino (Montedit, 2020).