Paolo Pera, Pena di me stesso, Ensemble, 2022
Prefazione di Franco Trinchero, postfazione di Mario Marchisio
LA PERSUASIONE IMPOSSIBILE
di Paolo Gera
Ci sono due componimenti, in apparenza accessori all’impianto dell’opera, eppure posti in posizione centrale nello sviluppo della raccolta, in cui l’autore si rivolge ai suoi cani, i suoi doghi argentini attraverso una riflessione e un’immagine, che possono offrire un’interessante chiave di lettura, se non costituire addirittura il passe-partout di “Pena di me stesso”. La poesia di Paolo Pera ha la caratteristica, pur nell’amarezza delle considerazioni, di estendere la sua compassione a chi gravita nella sua orbita di affetti, sia esseri umani che animali. La distinzione che Pera sottolinea non è per nulla di carattere ontologico, quanto sociale, politico: “Ciò che ci differenzia / È l’obbligo che m’impone / Di guadagnare il pane, / Di riempirmi di nozioni / Che ingombrano la vita.” (DIALOGO COI DOGHI ARGENTINI, vv. 6-10, p. 69). Nella poesia successiva i doghi, esclusi dalla casa e residenti in uno spazio naturale, paiono come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden.
Giorgio Agamben nell’introduzione alla sua ultima edizione di “Homo sacer”, ribadisce, al pari del Kerényi di “Dioniso”, come i Greci si servissero di due parole distinte, zoé e bíos per indicare la vita. Il primo termine esprime il semplice fatto di vivere comune a tutti gli esseri terrestri, mentre il secondo chiarisce il modo di vivere personale o di una comunità, la sua aggregazione, le sue leggi interiori ed esteriori. Eppure nell’uomo soggetto agli impegni, alle costrizioni, alle catene della società o alle proiezioni di questa sulla propria condizione individuale, sorge una sorta di nostalgia per la vita come puro fermento biologico, un vivacissimo grado zero esistenziale, che Aristotele in un passo della “Politica” paragona a una “bella giornata” (euēmería). La bella giornata, la dolcezza, la serenità non sono che rimpianti nello sviluppo di quest’opera, proprio perché l’autore non riesce a svincolarsi dagli ‘idola’, siano quelli legati alle proprie predisposizioni naturali, che quelli soggetti al giudizio della tribù. In questa specie di ‘journal intime’ sotto forma di versi poetici, le giornate sono piene zeppe di trabocchetti e di botole profondissime da cui il soggetto fa fatica a districarsi e a risalire. Nel peggiore dei casi si sprofonda in un letame asettico e la dimensione esistenziale sua e degli altri è paragonata a un regno purgatoriale, sin dalle prime dichiarazioni testuali: “La vita è un purgatorio/ Per noi che non pecchiamo” (PAOLO STILITA IL GIOVANE, vv. 1-2, p. 17); “Siamo in purgatorio /Arridono i peccati” (CLANDESTINO IN ME STESSO, vv. 5-6, p. 86). Se nel libro precedente “Pietà per l’esistente”, la vena sarcastica colpiva a volte i bersagli esterni di una vita intesa come retorica insincera e la parola d’ordine poteva essere il palazzeschiano “ E lasciatemi divertire”, declinato in maniera più sulfurea, in quest’opera rivolta all’analisi del soggettivo il rispecchiamento suggerisce maggiormente spleen e deformazione, in un selfie anamorfico ben rappresentato dall’immagine della copertina e in un nickname che, se scelto, potrebbe ben riecheggiare la Vierge Folle di Arthur Rimbaud. Si potrebbe dunque parlare di maledettismo dialettico, perché piuttosto di sostenere una posizione di sfida byroniana assoluta e intransigente nei confronti di Dio, Paolo Pera intesse un continuo dialogo con l’Ente Supremo, in uno sforzo pascaliano di definire i confini intimi della sua presenza, la sua immanenza, il suo paterno assistere e desistere: “Lo chiedo a lui: «Signore, sei Tu forse il mio “pensiero scismatico”, sei Tu forse qualcosa d’inconscio che si detta in me?», a tale arroganza Lui tace, abbandonandomi nel silenzio…”(Premessa, p. 14). Alla costruzione di un mitologema personale l’autore non procede attraverso un’autoesaltazione titanica della propria originalità, quanto mediante l’espressione di un dubbio che vorrebbe trovare una ricomposizione e che invece di veleggiare alto e giovanile con il rinvenimento di immagini gloriose, si presta alle più sottili rivisitazioni di un pensiero che, pur essendo ‘debole’, non smette di sottoporlo alla tortura dell’analisi razionale e del sillogismo: “Devo assentarmi da me stesso, / Prevenire il rapimento dell’altrove. / Dedicarmi integralmente /Allo studio della ragione.” ([Devo assentarmi da me stesso], vv. 1-4, p. 91). Se l’autore si iscrive, avendone le caratteristiche anagrafiche ed esistenziali, alla lista dei maledetti, egli corregge subito l’irriverenza dell’immagine creata, che potrebbe rimanere in una dimensione puramente euristica, attraverso una successiva riflessione logica che è un po’ il carattere precipuo del suo stile: “Sono come i maledetti /Che disturbano gli oranti / Nell’atto della genuflessione. / Poiché mi ritengo incapace / Di pregare io pure, /Se lo facessi per errore /Scoprirei un mondo migliore!” (ASTERISCHI II, 1, vv. 1-7, p. 35).
La ricerca di un mondo migliore! Progressivamente l’autore pone di fronte a sé alternative che potrebbero aprirgli le porte di un cambiamento esistenziale, ma il tarlo di una mancata persuasione lo respinge indietro verso, la situazione larvale dell’inazione. Essere iniziati, certo, ma per qualcosa che ne valga realmente la pena, non per essere incasellato negli archivi fittizi delle cose che vanno per forza fatte a una certa età! Così è per il sesso, a cui è rivolta la parte “Deficienze d’amore”. In un processo di autofiction, che ricorda i modi di Franco Trinchero, Paolo Pera elabora una specie di vena iperbolica per raccontare storie erotiche il cui mancato appagamento è tangibile: “Lei era la mia fuliggine, e amavo /Rotolarmi tra le sue natiche. /Così bella e profonda, / Odorava di bombe atomiche.” (INQUIETUDINE IN VIA DI GIOIA, vv. 1-4, p. 21). Il sarcasmo è come una carta che assorbe la delusione amorosa: “Mi mettevo a parlare di Kant / Senza averne alcuna nozione; / Se erano umide, si prosciugavano / Alle prime mie parole.” (CAPENDOMI COGLIONE, vv. 6-9, p. 24).
L’autoflagellazione, esibita come una pratica masochistica per voyeur da tanta parte della giovane poesia italiana, è qui invece condotta con assoluta sincerità perché la dimensione della sofferenza biografica non lascia adito a dubbi e l’asprezza stilistica altro non è se non la ricerca di un’identità completa fra momenti esistenziali e creativi. Tutto quello che vive, Paolo Pera scrive. Le esperienze di studio esposte alle trame di un fittizio cameratismo, le cronache familiari, in cui sembra placarsi a volte l’inquietudine nella rievocazione del tempo ritrovato e condiviso e in cui il richiamo al ‘nido’ è poi così forte da suggerire riti di attaccamento in cui tenerezza e sacrilegio si intrecciano: “Dopo lo scampato pericolo / – Mia madre temeva un tumore – / La rividi soave, e chiesi: / «Posso darti l’estrema unzione?» /Lei assentì, e così /Andai ad ungermi il dito.” (CRISMA A MIA MADRE, vv. 1-6, p. 81).
Paolo Pera in una progressiva reductio ad unguem della sua missione, parte come Stilita e diventa il Signor Nessuno: “Sono il Signor Nessun / Che vive spiaggiato / Sulle stelle marine, / E che avanza pentito per i rivi / Odorando dolcemente i rovi,” (ASTERISCHI II, 2, vv .8-12, p. 35). E poi ancora altre figure di rinuncia e di sacrificio si allineano: il puer/senex (giovinetto già di mille anni), il clandestino di se stesso, il santo e quasi nello stesso tempo l’animale da macello, l’apolide che brucia: “Io sono un apolide che brucia, /Senza una casa oltre / La propria memoria.” ([Io sono un apolide che brucia], vv. 1-3, p. 107). Questo continuo fare i conti con i propri simili sentendosi sempre la bocca amara per mancanza di credito, per negato scambio di amorosi sensi, questo vizio assurdo di auscultarsi in ogni momento, senza trovare lo spazio ossigenante di un possibile altrove, impedisce forse lo sbocco ad una versificazione lirica, ma ricompensa con una poesia filosofica, in cui il denudamento esistenziale è completo e fortissimo. Non si può ovviamente non pensare a Leopardi. Esiste allora una sospensione del dolore che appare improvvisa nel vedersi vivere. Finalmente ci si lascia trascinare oltre lo specchio, dove si rinuncia alle privazioni del privato per misurarsi infine con il brulichio della vita degli altri e acquisire la limpidezza dell’incoscienza.
Oggi la parola è cristallina,
Il mio fango non sporca più
I genitali delle vergini.
Il catrame è divenuto
Quel liquido fecondo
Che lubrifica le strade.
Quanto arriva ha smesso d’essere
Un’immagine privata, e assume
Le sembianze della viva alterità.
([Oggi la parola è cristallina], p. 87)
Ma nelle poesie successive risuona piuttosto il tempo della decadenza e della morte prevista e accettata per maledire e invocare rispetto. L’ultima composizione della raccolta ribalta dunque il tentativo di trovare una via d’uscita nel mondo, in una specie di epigrafe in cui l’atmosfera ritorna indefinitamente oblomoviana e le domeniche crepuscolari diventano forza di attrazione quotidiana. A bíos si preferisce zoé, ma non nella sospensione di una bella giornata, piuttosto in quella di un lungo letargo animale.
Sono io il grande amante
Del sopor domenicale: lì
Espio ogni colpa d’esser stato
Quell’odioso Paolo Pera,
Che non amo né ricordo
D’aver mai frequentato.
(ERO SOLO UN INNOCENTE, p. 115)
Paolo Gera
Paolo Pera è nato ad Alba (CN) il 22 giugno del 1996, diplomato in Arti Figurative, è laureando in Filosofia presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi sull’estetica vattimiana e relative declinazioni poetiche. Nel 2012 esce un tentativo di romanzo breve; nel 2020 esordisce come poeta con la silloge La falce della decima musa, edita da Achille e La Tartaruga (postfazione di Mario Marchisio); nel 2021 pubblica Pierino Porcospino, una riscrittura macabro-giocosa di Der Struwwelpeter di Heinrich Hoffmann (edizioni GGDP, postfazione di Giancarlo Pagliasso); tra il 2021 e il 2022, per le Edizioni Ensemble, dà alle stampe il dittico composto da Pietà per l’esistente (postfazione di Andrea Laiolo) e Pena di me stesso (prefazione di Franco Trinchero e postfazione di Mario Marchisio) È anche fumettista, pittore e scultore. Collabora con diverse riviste letterarie in qualità di critico, e, tra le altre cose, lavora al rifacimento delle sue prime tre opere.
Leggi anche, nel blog:
Paolo Pera, tre inediti (2022), 15 febbraio 2023
Poesie da “Amado mio” n. 24, maggio 2022
Poesie inedite di Paolo Pera, 8 settembre 2021
Su “La falce della decima musa” di Paolo Pera