Una porta socchiusa tra il giorno e la notte
La lontana lezione di Eraclito sull’eterna lotta e armonia degli opposti nel grembo di un’unità originaria ci aiuta a leggere la poesia di Rienzi. Ci aiuta a vedere il gioco dei trapassi, dei rovesciamenti, a volte vertiginosi, a volte sfumati, dal negativo al positivo e viceversa. Una sottile e nascosta simmetria, o disimmetria, governa il bene e il male, l’invisibile luce e il buio del presente. Senso forte della Nigredo alchemica è per il poeta saper spiare, in piena notte, il rosseggiare dell’alba. Anche se «non basta il primo sguardo / per dire se il sole sorge o è al tramonto».
La poesia di Rienzi si è sempre mossa, o se si vuole, ha sempre tremato su un bilico, su una linea di confine. Confine è qui parola tematica, metafora che apre i due mondi. Da un lato l’ironia, intesa come lezione del freddo, filtro della mente che sorveglia la distanza, a volte anche dissimulazione e tono basso del versificare. Dall’altro la stupefazione, che è il momento in cui il pensiero deve cedere, assottigliarsi o franare su se stesso, fino a coincidere con un suo nulla, come davanti a una rivelazione. Quel che si dice: l’invisibile. Ciò che sta per essere visto. Ma è un bagliore. Dissolto: «uguali il presagio e il profondo sonno».
Rispetto agli esiti precedenti, qui, in questo libro di “presagi”, la parola di Rienzi pare meno coinvolta dalla giostra delle rifrazioni del soggetto, da quegli sdoppiamenti delle identità cari a un Borges o a un Pessoa, da tutti quegli artifici di nomi e pseudonimi generatori di metamorfosi. Qui sembra tutto più urgente e severo, non dilazionabile in figure a specchio. Tutto più nudo di maschere. Tutto partenze e presagi. Qualche maschera si è sfibrata, e cedendo ne ha forse rivelate altre sommerse, ma in fondo, in fondo è venuto su il grido, l’intensità di una parola davvero urgente, assetata di cose ultime, tradotta in sapienza.
E viene l’ora dei profeti e dell’attesa. L’attesa, topos così insistente da entrare anche nei titoli, diventa mito centrale. Non tanto l’attesa inserita in un tempo, volta in direzione di un Messia che non viene, quanto disposizione totale verso l’aperto, accolto nella sua parte d’ombra e di enigma, come strappato al tempo: «sembrava un’attesa // ma non capivamo di cosa.» Detto von le parole di Renè Char: “vivre avec l’inconnu devant soi.”
L’ignoto è proprio ciò che la parola poetica di Rienzi cela e rivela. Una parola che rincorre l’ignoto, quella verità balenata, intuita insieme al suo contrario. Una parola che diventa luogo e strumento della scoperta. Anche il mattino, con la sua luce e la sua promessa di «differente origine del giorno», si fa carico di presagi, è ancora parte della notte, non separabile dalla notte che lo ha generato. «Qui era ancora aurora / e fuori le ore scorrevano al contrario / tornando notte.»
Si spiega anche così l’apertura della poesia a temi suggestivi di intonazione neo e vetero testamentaria. L’ora dei profeti. Il guardare ai profeti, che equivale a un guardare letteralmente avanti. A occhi chiusi. «Conosco la data della mia morte.» È la voce “d’uno che grida”, per dirla con Giovanni il Battista, ma che sa di gridare e di sorvegliarne il ritmo. Il timbro di questa voce viene dalla vita, dagli allarmi, dalle inquietudini, dalle partenze. È un dire segnato dall’unghiata della vita, tra canto e controcanto.
Partenze e promesse. Presagi è il libro di un solitario che ha strappato al silenzio la forza di visione e dunque la direzione dei versi. Quel che qui muove è l’urgenza della domanda senza fine. La domanda antica, la più antica. A che punto è la notte? Sempre quella, la stessa domanda, insistita nelle sue varianti. Nel profeta Isaia la risposta della sentinella suona sconcertante. Se vi piace interrogare, venite, tornate a interrogare. Ma quel che davvero importa, così vuole suggerirci la parola di Rienzi, più che la necessità di sapere quando finirà la notte, è che cosa significhi notte, dal momento che «Qui regna ancora il silenzio: non dice / nulla, neppure quanto manca al giorno.»
Dario Capello
Marzo 2019