Recensione a “Prima”, di Gabriella Cinti

Gabriella Cinti, Prima, puntoacapo, 2022
Postfazione di Mauro Ferrari

Recensione di Emanuela Dalla Libera

Prima è il titolo dell’ultima opera poetica di Gabriella Cinti, poetessa affermata, autrice di testi di poesia e saggistica, profonda conoscitrice del mito e delle civiltà e culture antiche. Prima è un titolo che in sé racchiude molte attese, poiché rimanda ad una dimensione temporale che si squaderna pian piano nell’opera e ci conduce a un’origine, ma al tempo stesso scava nella nostra interiorità mettendo in luce l’universo affettivo che è alla base della nostra nascita e della nostra esistenza (che in esso cerca costantemente una conferma), ma è anche tempo di mondi lontani in cui mito e storia consumano la tragicità del vivere e le sue risonanze nella coscienza collettiva.

Ma andiamo con ordine, tanto è fitta la materia, tanti sono i richiami all’universo dei mondi, della scienza, della poesia che il libro contiene, tanti i coinvolgimenti emotivi cui la poetessa ci conduce nel sentirsi e farci sentire partecipi di una esistenza globalmente intesa in cui tutti siamo inseriti, da cui tutti abbiamo avuto origine dipanando nel corso del tempo un filo ininterrotto, tenuto insieme da forze primordiali inalienabili e persistenti, prima tra tutte l’amore (L’amor che move il sole e le altre stelle di dantesca memoria, pag. 12).

Prima contiene l’idea del nucleo da cui la vita ha avuto origine (l’immagine di copertina è meravigliosa, quasi accecante la luce che emerge dalle tenebre, quasi veicolo rivelatore di verità), un magma compatto e informe da cui è scaturito un due comparso sulla scena del mondo (e è forte qui il richiamo al Simposio di Platone e all’essere indifferenziato divisosi per l’invidia degli dei), un due che in virtù dell’amore genera (inevitabile il richiamo alla Venus genetrix del De rerum natura), due che è un concetto su cui Gabriella torna insistentemente (Il canto del due dei gibboni, pag. 38; La mia sete del due, pag. 59; Fotogrammi d’anima, pag. 51 in cui l’autrice dice a cercare il due; ma anche in L’esilio, pag. 53, dove si dice le ciliegie duali ed in Mattino d’origine, pag. 49, che nel titolo contiene un’endiadi non troppo velata). E l’amore è declinato nel testo non solo come forza scatenante l’universo, un duplicarsi e moltiplicarsi infinito di cellule, ma è inteso in vari modi tanto da condurci a quella varietà concettuale che ha nella lingua e nella cultura greca il suo fondamento. All’amore inteso come forza generatrice si affianca l’amore parentale-familiare (vedi le poesie dedicate al padre e alla madre), e l’amore spirituale, quello che lega l’autrice alle altre creature, del cui sentire si sente partecipe fino a lasciar intravedere una sensibilità delicata e commovente. Ed è proprio la forza avvolgente dell’amore che crea la continuità della vita e le conferisce un senso di empatia/simpatia tra tutti gli esseri da un prima originario che si muove in vertiginosa risalita attraverso il tempo, una salita verticale che si dilata diversificandosi ma non deviando, una ascesa che rimanda  alla salita etica e gnoseologica di Dante attraverso i tre regni e che in Gabriella ha un senso gnoseologico sì, ma prima di tutto ontologico. Gabriella nega che ci sia frattura o cesura nella totalità dell’universo che lei intende come unità compatta in cui tutti gli organismi dai più semplici ai più complessi hanno la stessa rilevanza, la stessa dignità, e verrebbe da dire, la stessa capacità di sentire che normalmente si attribuisce come privilegio agli esseri umani. Ed è tale il sentirsi in sintonia con le altre creature che Gabriella ipotizza il pianto della dryopiteca (dipinta con parole di tenerezza materna), la sua sofferenza, sofferenza che è, forse, nel corso del tempo, inalienabile e indelebile al pari di altre realtà costituenti l’esistenza, e poi le lacrime azzurre della megattera, prestate ai miei occhi, l’incertezza della garzetta (come me incerta del dove), fino a esprimere il desiderio di farsi prima come lampreda.

Ma il prima di Gabriella non è solo temporale o ontologico, c’è anche, nelle sue poesie, un tempo affettivo, dove il prima è rappresentato dai granuli di memoria (A terra hai lasciato una traccia, pag. 84), dalle cose conservate nel cassetto dove sta il senso della vita e dell’oltrevita (La mia disordinata salvezza, pag. 18), dove stanno riposti gli oggetti che nel tempo hanno circondato la nostra esistenza, e sono la lingua del divenire, sono cioè l’antefatto del presente che da essi non può essere disgiunto, esattamente come la vita di adesso non può prescindere da quella che è stata, portandoci ad approdare a un sentimento panico che ci fa sentire parte del tutto e il tutto parte di noi.

Poesia alta e complessa quella di Gabriella Cinti, che si nutre oltre che di sapienza scientifica anche del mito e della fiaba (Persefone, Dioniso, Melusine) accomunando in questo civiltà di tempi e luoghi diversi, dimostrando una empatia profonda per la vita e la morte di vittime innocenti, sacrificate a superiori, incomprese ragioni. Il sacrificio di Juanita rimanda ad altri analoghi sacrifici (Isacco, Ifigenia) e accende questioni complesse e irrisolte, non giudicabili. Ma il pensiero torna ancora una volta agli antichi e alle loro opere e al loro pensiero. Impossibile non pensare ancora una volta a Lucrezio, al De Rerum Natura, alla tragica affermazione tantum potuit religio suadere malorum.

Questa varietà di motivi che confluiscono in un’opera unitaria e profonda è condotta da Gabriella con il tramite di una lingua colta in cui si intrecciano neologismi (s’arrugiada, azzurrevole, lucenza, destinico), termini specialistici, arcaici (eternale, dimidiato), parole agglutinate (scioglidestino, ornitosolare, caldavociante, cielacqua, verdesperanti) a dimostrare una sublime capacità di usare la lingua, plasmarla, se necessario, a farla protesi della nostra fisicità poiché anche la parola è fisico, suono che rimanda a una visione, che scatena sensazioni e percezioni, che avvicina (aggiungo come in greco, un dito di sillaba in fondo alla parola, per parlarti più da vicino in Sogno di megattera).
Fino a quel termine, disincontro, (La mia disordinata salvezza) termine coniato da Martin Buber, il filosofo della intersoggettività, a indicare il mancato incontro tra due esistenze, quando invece il sentimento dominante, derivante dal senso di comune appartenenza alle radici della vita, è per Gabriella un sentimento di empatia, di condivisione, in questo dando alla sua poesia un valore etico. Valore che è forse di tutta la poesia.

Poesie da Prima
(scelte da A. R. )

Garzetta

Solo ieri, ti ho conosciuto,
acquaerea garzetta,
delicata Aironcina maestosa
di ali, Anima umida, irrisolta

di stato, tra basso e alto,
come me incerta del dove,
tra intrichi di rami e placida palude.

Ma non vivi il dilemma
dei mondi perché Natura
in te canta armonia.

Ti nasce una voce d’amore
e rompe il costume del tuo silenzio:

l’amore è suono, in ogni specie.

Ho ascoltato la lingua del tuo richiamo
– la domenica si è riempita di prodigio –
forse mi dettavi un’audace invocazione,

un canto antico, da pellicana, prodigo,
per infondere verità di natura
alla mia nostalgia,

corpo di parole, corpo d’amore.
Elegante di bianche piume
hai reso gentile la stretta di cuore,
fermo il tuo vole nel fiume di luce,
mi vedi nel giallo dei tuoi occhi:

cosa sono per te,
una formica umana,
attardata sulla sponda,
una dei centosette miliardi di bipedi
che hanno solcato la terra?

Eppure io vedo te
che la sorvoli leggiadra,
leggera di memoria,
affabulando penne senza scrittura:

prestami il tuo viaggio felice,
i tuffi d’aria mimati nel cuore,

lo slancio chiaro, immemore di volontà,
le parole oltrelingua del tuo gorgheggio,

un trillo d’amore congiunto.

(p. 20)



Gravitazione

Increspata aria dell’universo,
scontri dei corpi oscuri,
pieghe ondose di memoria
nel tempo-spazio, titani assiali
a muovere flessuosi il vortice
elettrico del cosmo

e noi, ai piedi del tutto
solo misere frane
e cadute d’amore senza suoni,
flutti anche noi
e gravità di memoria.

Poter sopravvivere all’assenza,
non sciogliersi in filamenti strinati
con la resistenza di catapulte astrali.

Generoso mistero stellare,
la vista del sole, riflesso radiale,
donata a noi per minuti sottratti al nulla.

Così è il mio pensiero di te,
agglutinato amore impresso
in retina d’anima,

invisibile cometa affusata
in fondo allo scrigno del respiro.

(p. 32)



Il corpo della voce

Melusine
 sirenica
squamata di pagine, parole
di alghe filate da labbra d’acqua,

la nostalgia del cielo
nel canto d’aria, irresistibile,
se solo ti giungesse!

Ma tu di altre bende hai fasciato
il tuo ascolto e la danza
in cerchio delle parole nostre
non ti ha trattenuto
nelle acque al mio fianco.

I fiordi di memoria li hai scivolati
indenni e non hai stretto
la rete dei capelli,
senza più pescare incanti
d’amore dagli occhi smeraldo:

prestami ali e unghie per volare
e ferire, un mantello di piume
per arruffare il respiro
di chi fugge l’amore,

ambrosia di sguardi
per strapparti al tuo scoglio
ostinato e sprofondare
con te nell’oceano

ubriachi di miele nella voce
e controcorrente risalire il tempo:
lo stupore turchese dell’estasi.

Tu che sei il corpo della voce,
ancora oggi distilli selvaggia malìa,
spirito inaudito che sdoppi l’anima
e annichilita lo porti ai confini dell’essere.

Rendici come te espansi,
rendi la tua musica un sorriso,
per planare con te
nell’incandescenza liquida

del tuo sogno blu.

(p. 93)

Gabriella Cinti, nata a Jesi, è italianista, grecista, poeta, scrittrice, saggista, performer in greco antico. In poesia ha pubblicato: Suite per la parola (Péquod, 2008), Euridice è Orfeo, (Achille e la Tartaruga, 2016), Madre del respiro, con la prefazione di Alberto Folin (Moretti e Vitali, 2017). La lingua del sorriso: poema da viaggio con il saggio introduttivo di Francesco Solitario (Prometheus edizioni, Milano). Intensa è la produzione saggistica: Il canto di Saffo – Musicalità e pensiero mitico nei lirici greci, Moretti e Vitali, 2010. Emilio Villa e l’arte dell’uomo primordiale: estetica dell’origine, I Quaderni del Bardo editore, 2019, Ebook Amazon; All’origine del divenire. Il labirinto dei Labirinti di Emilio Villa, (prefazione di Gian Paolo Renello), Mimesis edizioni, 2021.
Sulla sua poesia: Franco Manzoni, Femminea estasi. Sulla poesia di Gabriella Cinti (Algra editore, Catania, 2018).
E’ vincitrice di numerosi premi nazionali e internazionali e sue poesie sono presenti in diverse antologie poetiche ed è tradotta in inglese e greco moderno.










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