“Donne appassionate” di Cesare Pavese, da “Lavorare stanca” (1936)

24 poesie, ovvero il XX Secolo
secondo Mario Marchisio



CESARE PAVESE, DONNE APPASSIONATE
(da “Lavorare stanca, 1936)

Pervade questa poesia un’aura mitica, impregnata di cupa incombente tragedia, che la sensualità delle bagnanti e «il mare disteso / come un prato al crepuscolo» rendono ancor più percettibile, quasi tangibile.
I magistrali versi lunghi di Pavese riecheggiano in forma nuova l’antico esametro: un esperimento che dopo le Odi barbare carducciane nessun poeta italiano aveva condotto con altrettanto successo.



Le ragazze al crepuscolo scendono in acqua,
quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco
ogni foglia trasale, mentre emergono caute
sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma
fa i suoi giochi inquieti, lungo l’acqua remota.

Le ragazze han paura delle alghe sepolte
sotto le onde, che afferrano le gambe e le spalle:
quant’è nudo, del corpo. Rimontano rapide a riva
e si chiamano a nome, guardandosi intorno.
Anche le ombre sul fondo del mare, nel buio,
sono enormi e si vedono muovere incerte,
come attratte dai corpi che passano. Il bosco
è un rifugio tranquillo, nel sole calante,
più che il greto, ma piace alle scure ragazze
star sedute all’aperto, nel lenzuolo raccolto.

Stanno tutte accosciate, serrando il lenzuolo
alle gambe, e contemplano il mare disteso
come un prato al crepuscolo. Oserebbe qualcuna
ora stendersi nuda in un prato? Dal mare
balzerebbero le alghe, che sfiorano i piedi,
a ghermire e ravvolgere il corpo tremante.
Ci son occhi nel mare, che traspaiono a volte.

Quell’ignota straniera, che nuotava di notte
sola e nuda, nel buio quando muta la luna,
è scomparsa una notte e non torna mai più.
Era grande e doveva esser bianca abbagliante
perché gli occhi, dal fondo del mare, giungessero a lei.


24 poesie, ovvero il XX Secolo
secondo Mario Marchisio

Proposta di una poesia esemplare per ognuna delle 24 voci poetiche del XX secolo, scelte da Mario Marchisio come rappresentative del secolo, accompagnate da un telegrafico commento. I testi condurranno in un viaggio che parte dai primi anni dal Novecento fino alle soglie del Duemila.
L’antologizzatore si dichiara consapevole che almeno altri cinquanta autori e autrici meriterebbero spazio. Tuttavia questa è solo una scheggia, una esigua scheggia del gran mosaico che risplende alle nostre spalle.

I. Giovanni PASCOLI, La tessitrice, da Canti di Castelvecchio, 1903
II. Gabriele D’ANNUNZIO, Furit aestus, da Alcyone, 1903
III. Guido GOZZANO, L’assenza, da I colloqui, 1911
IV. Clemente REBORA, Lungo di donna un canto si trasfonde, da Frammenti lirici, 1913
V. Umberto SABA, Forse un giorno diranno, da Cose leggere e vaganti, 1920
VI. Eugenio MONTALE, Portami il girasole ch’io lo trapianti, da Ossi di seppia, 1925
VII. Giuseppe UNGARETTI, L’isola, da Sentimento del tempo, 1933
VIII. Cesare PAVESE, Donne appassionate, da Lavorare stanca, 1936
IX. Dino CAMPANA, Donna genovese, da Inediti, ediz. postuma, 1942
X. Vincenzo CARDARELLI, Gabbiani, da Poesie, 1942
XI. Diego VALERI, Albero, da Terzo tempo, 1950
XII. Mario LUZI, Marina, da Primizie del deserto, 1952
XIII. Giorgio CAPRONI, Il carro di vetro, da Il seme del piangere, 1959
XIV. Angelo Maria RIPELLINO, Piccolo circo, da Non un giorno ma adesso, 1960

Ph.: da Cesare Pavese, Lavorare stanca e altre poesie, a cura di Fabrizio Dall’Aglio, Passigli, 2021 – dettaglio di copertina

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