Un ricordo di Leopoldo Attolico, con un inedito e una selezione di testi da “Si fa per dire. Tutte le poesie, 1964-2016”


Poeta, dove vai ?
Inedito, 2023-2024

Poeta, dove vai ?
Come un asse da stiro
non sai mai dove metterti
dove ti metti impicci
nei secoli dei secoli
la tua ubicazione domestica
è una ipotesi che non si addomestica mai
è un vitalizio di precarietà
un destino di provvisorietà
di inadeguatezza nomade, zingaresca
quando infesti casa con i tuoi libretti
con i tuoi foglietti, con la tua poetry à porter
e nel turbine collezioni rimbrotti, mugugni,
qualche volta anatemi, quando va bene
ricami di fulgidi sfottò…

Ma i tuoi angiomi cartacei immedicabili
marcano il territorio e non ne vogliono sapere.
Sono squilli teneri di neve
in un falò.


Leopoldo ci ha lasciato l’8 febbraio 2024
Questa la breve nota biografica che mi inviò, il 4 gennaio, a corredo dell’inedito Poeta, dove vai?, che mi aveva affidato per la pubblicazione nella rubrica “Inediti italiani” di questo lit-blog

Leopoldo Attolico (Roma, 5 Marzo 1946 ) , è autore di sei titoli di poesia e di quattro plaquettes in edizioni d’arte. Dalla seconda metà degli anni ’90 si occupa di poesia “antistress”, declinata in accezione giocosa, ironica/autoironica e paradossale. Numerose le sue letture nei Licei e nelle Università e le presenze in festival di poesia nazionali e internazionali . E’ del 2018 “Si fa per dire, Tutte le poesie , 1964-2016” , Marco Saya Edizioni , prefato da Nicola Vacca.”

Proprio della sua opera omnia a seguire una piccola selezione:

da “Si fa per dire – Tutte le poesie, 1964-2016

Nota dell’autore

La Poesia, ed io di rimando, siamo grati a quanti ci sono stati vicino in questi anni.
Ci scusiamo per le non poche ridondanze dell’ego, necessitato dal dirsi nella presunzione di farsi storia di tutti, in cui tutti possano – almeno in parte – riconoscersi.
Il suddetto ego ha sempre scritto alla “leggerezza” della parola un valore centrale, consentaneo alla gioia di vivere e quindi di scrivere.
Questi miei testi tentano di renderne testimonianza. Buona lettura
(p. 5)

da Piccolo spacciatore, 1964 1967, Cooperativa Editrice Il Ventaglio, Roma, 1987



All’amico morto

Stanotte ho portato un fiore in fondo al mare,
dove la tua anima riposa.
Dio è passato mille volte di lì,
ti viene sempre a trovare…
Ho portato la rosa intatta di una vita  
dove s’impiega tanto, per morire.
Stringila forte.
Senza di lei non potrò più tornare

p. 65 (di Si fa per dire)



I pensieri

Ho un discreto terrore del mare
perché pullula di pensieri; perché vi sono i dettagli,
tutti gravi puntuali aculei nell’iride neri:
c’è il gabbiano che sospeso
trattiene il respiro come un solco nella fronte
e l’oscuro corpo di biacca traslucida
nell’onde abbandonato…
C’è il dettato venato di bistro
della risacca appeso dentro il cuore
che tumultua la sua molle ragione
d’inerme malata fissità
e mai si stanca

p. 91




da Il parolaio, Campanotto editore, 1994


*
Scrissi la prima poesia senza volerlo,
come si dà un calcio a un sasso per la strada.
Ho amato a più non posso quel segno sulla scarpa,
che conservo in bacheca, per quando sarò vecchio
inzanzottito e querulo. Farà da ciliegina all’andropausa.
La seconda (poesia) non fu opera mia
ma dell’io in sourplace sull’ace dell’avversario:
quattro versi di sentimento al cubo
beceri e angolatissimi, respinti in ditirambo
d’amor proprio per un vero miracolo, con tuffo paraplegico.
Ne porto ancora i lividi, con legittimo orgoglio.
La terza è tutto merito degli astri
un po’ irritati perché li avevo trascurati:
per pigrizia congenita avevo preferito il ping pong
terragno al tennis stratosferico.
Il mio servizio però aveva del galattico
e loro ne erano lusingati

p. 127



*
Penso sempre alla prossima poesia
diviso tra l’ennesimo barbaglio di fervore
in una stanza vuota e una voce, da fuori
che scandisce il tempo di un impegno
che mi vede in ritardo, col quaderno delle giustificazioni
contraffatto, come ai tempi della scuola.
In mezzo, c’è l’attesa; è il massimo peccato
di fare a volte un torto a questo vecchio orgoglio
di primo della classe in italiano: di tuffare nel mondo
la mia abiura a un piccolo scrivano con la mano sul cuore;
a una gazza ubriaca insonne, senza monete d’oro;
a un bisogno di polvere e di assenza

p. 144




da Scapricciatielle, Edizioni El bagatt, Bergamo, 1995


I critici
a Santa Pupa protettrice
dei bambini e dei poeti

Se uso un tono alto
mirano alto
mirano al naso
come Sugar Ray Robinson.
Se uso un tono basso
terra terra
mirano al plesso
come Kid Gavilan.
E allora Santapupa
che tono devo usare
per non finire know down?
– Semplice! Quello del sarchiapone celeste
appena un poco sotto alla linea del cuore
spostato un po’ a sinistra
                                            di un blocco di branca destro
                                     passatista
fagocitato a sinistra
                dalle fibrille di un sole garantista
                 capintesta dell’amore ambidestro
                                e suo apripista!

p. 167



*
Spesso la gioia di vivere ho incontrato:
era il tormento di scansare Montale
ed amare Riviello,
era l’anfetamina di un verso scapricciato,
era il veterinario che resuscitava il cavallo
con l’avallo dell’Amaro Montenegro

Bene non seppi, fuori dal prodigio
che schiude la divina Provvidenza:
era la tivù gestita dall’Infanzia,
una nuvola color villeggiatura,
e l’emergenza del sogno
in questa subsidenza

p. 183




da Siamo alle solite, Fermenti Editrice, 2001



La scossa

In pendant con i versi
bisognerebbe proporre aromi, spezie
concrezioni di umori diversi primordiali terragni,
con adeguati chimismi amalgamarli in tenui polverine
da spargere tra il pubblico durante le letture,
un mix feroce e delicato, casto e spregiudicato
in grado di aggredire le pliche cerebrali
per input creaturali vergini fruttati,
una pappa reale bio/paranormale
che schiodi la platea dal suo fervido torpore
di mina innescata, come fa l’artificiere
quando chiama sé il suo mestiere
e si gioca la vita per fare della morte
finalmente
una cosa inoffensiva.
Con la vita a sovraintendere

p. 264



La banca

Ho parlato a una banca.
Era sola nel vespro piovoso, chiusa a doppia mandata.
Sazia di grana, pluriinzuppata, plurirapinata
aspettava in ambascia il lunedì mattina.

Quell’attesa penosa era fraterna alla mia,
perché era domenica sera
ed io lavoravo in banca da una vita.

A quell’attesa io risposi
facendole le corna e dicendole, tiè!
prima per celia, poi perché il bancariato è eterno,
ti fotte l’anima e non varia.

Quella stessa anima
sentiva solidale in una banca solitaria.
In una banca dall’attesa stranita
sentiva perpetuarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

p. 280




da I colori dell’oro (1975 1987), Caramanica Editore, 2004


*
Brilla
è alta nella mente
la tua assenza
ed è il mio tutto,
un battito rappreso.
Ho smesso così
d’amarti ingordamente
tormentato e tormentoso,
come i gabbiani
che in vista della terra
abbandonano la nave

p. 300



*
…fai finta l’ora di non conoscermi,
di avermi visto solo adesso
leggerti una poesia sul viso, rincorrendoti.
Fai finta che sia la persuasione
vittoriosa sulle cose – per una volta –
a renderti arrendevole,
a non mandarmi via col mio segreto
che ti cammina accanto, supplicandoti.
Possa cacciarti via dal sogno – amore –
e camminarti dentro come tu mi vuoi,
come la luce del giorno che si piega
sull’erba nera di una radura, all’alba!

p. 308




da La realtà sofferta del comico, Aìsara, 2009


Colloquio preliminare

Ero giovane, volenteroso, referenziato
timoroso di Dio; una perla rara:
proprio come desiderava l’annuncio di Famiglia Cristiana.
Mi presentai come domestico.
Ma tutto avevo di domestico fuorché lo sguardo
che sapeva di rapina e guardava in fondo al cuore
atterrando in percussione
con la delicatezza di una perforatrice

La padrona di casa se ne accorse
e si sentì aggredita, indagata, letta tra le righe
e da ultimo privata della biancheria (dell’anima).
Per dissimulare, maldestra
appoggiò le terga ad una tenda e andò a tappeto
con la tenda a rovinargli in testa un sipario
curiosamente trasformato, nel mio cuore
in saracinesca inibitrice delle mie velleità di domestico
e dei buoni uffici di Famiglia Cristiana
(che Dio l’abbia in gloria)

p. 356



Appetito orizzontale/verticale

Vorrei essermi speso bene
vorrei che questa fame di parole finalmente finisse.
Ma loro ci provano sempre
con tutto il peso della voce cercano la bagarre
dribblano il referente
fanno falsi ragionamenti
tentano sempre la verticale

poi
visto che coi succhi gastrici non c’è colloquio
tra oscuri nodi di grammatica
e lessici avventurosi
mi fanno ritornare orizzontale
transeunte
metaricevente
come quando nel sogno
si sogna la voglia di sognare
cibarie prelibate
ma non si risolve niente
equamente divisi fra anoressia
e bulimia galoppanti

p. 417




da Piccola preistoria. Inediti 1964-1967


In panne nella notte

Ho il ricordo di mio padre
che soffiava nel carburatore
per ritemprare l’asfittica carretta.
Noi piccoli da dentro
lo si aiutava con gli occhi,
con la fede che dei bimbi è propria,
muta nel tramestio del cuore, ininterrotta.
Lucente fede; la stessa ch’ora vagola
e va spanare il lupo intrisa d’innocenza;
un po’ sola
un po’ persa

p. 454



Fratellanza

È il minimo il divario
– il filo di memoria rosso acceso
tra il tuo essere negli anni
e il tuo passato remoto

Così la tua matita
ha la stessa cima corrosa
d’ansie lasciate ai margini di un foglio
e il bianco del suo accaglio
sfinisce nel riverbero degli occhi
sempre lo stesso gioco…
Ma nulla cambia, solo che tu non voglia
nulla ti è tolto

Il passato ti è fratello solitario
e la sua febbre ha la tua prima età
ma non se ne rammenta.
Chiedigli di raccontarla,
di rompere l’incanto.
Il passato è fede.
Il passato è preghiera

p. 462




da Inediti 1986 2016


Storni su Piazza dei Cinquecento

Anche stasera, a migliaia
fanno delle loro evoluzioni
un palinsesto surrealista, dadaista, impressionista.
Sono, in fondo, la poesia
la sua anarchia che fa quello che vuole
che non è mai quello che avevamo pensato un attimo fa

Nell’indisciplina dell’armonia
che coniuga il probabile al possibile
s’inciela la prossima poesia?

p. 518



Io e loro

In questa epoca di emotività e entropia crescente
il valore che do alle parole mi ha insegnato
che hanno un profondo senso della vergogna
e soffrono se usate male

Quindi niente strep tease intellettuale
o cuccia calda di sentimentalismo deamicisiano;
solo un silenzioso sfiorarsi di gomiti
nel comune destino di riconoscerci inadeguati

p. 521

Ph: Leopoldo Attolico, nell’ultimo profilo su Facebook

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