Opere d’inchiostro

a cura dell’Osservatorio poetico giovanile dell’Assessorato alla Gioventù (poi Settore dell’Assessorato alla Qualità della Vita) della Città di Torino, n. 2, maggio 1992 e Volume 1991-1995, Edizioni Scriptorium

PREFAZIONE alla Seconda Edizione, n. 2, 1992
di Giorgio Barberi Squarotti, Mario Baudino, Giorgio Ficara, Antonio Gagliardi, Mario Parodi

“Opere d’inchiostro”, alla sua seconda edizione, presenta sedici poeti dell’area torinese, che rappresentano bene uno spaccato di quanto si sta muovendo nell’area govanile.
Sarebbe arduo cercare in queste pagine un profilo della poesia degli anni Novanta: lo è meno, molto meno, misurare in queste prove il distacco e in taluni casi la rottura rispetto ai climi e alle esperienze del decennio precedente.
La giovane poesia cerca faticosamente la sue strade: e dove è forse labile e incoativa la consapevolezza teorica, approssimativo il controllo dei mezzi espressivi, è certo chiara e ben forte la voglia di esprimere, il desiderio di dare voce con libertà a ciò che si annida fra linguaggio ed esperienza. Questa scelta ha valore se la vogliamo considerare un documento: mappa di ansie, bisogni, abbozzi e in taluni casi vocazioni.
Si va dallo sperimentalismo già raffinato e conscio dei propri mezzi in un poeta come De Luigi, al lavorio ancora a tentoni ma guidato da una sicura “volontà di parlare” che è agevole riscontrare in un Calisti, nella Petrini, in Lombardi, in Favaro, in Ferrero, in Spano: senza le astuzie del poeta “letterato” ma anche senza le prudenze linguistiche di chi abbia scelto la sua “scuola”, il suo linguaggio, questi giovani scrittori riescono a dar voce, almeno, al loro desiderio di poesia, alla loro ricerca. Per indizi e forse per enigmi, il loro futuro è già nelle loro ingenuità.
Discorso diverso per la dolce immediata convinzione di Giurlanda, Pittavino, Siccardi e Tiberio: qui la condizione della melancolia o dell’insoddisfazione, se spesso è confusa con un’idea convenzionale di lirismo, muove il verso in arditi scenari narrativi, in caparbie anche se in apparenza timide aggressioni d’oggetti. A un livello di superiore elaborazione potrebbe situarsi Rienzi, che ha capito come gli oggetti possono essere messo in moto in quanto spezzoni linguistici, ma qui andiamo verso le zone del gioco e del divertimento anche straziante, di cui sono buoni esemplari Greco, Grandi, Cè e Mutani.
Questi poeti pagano un prezzo alla soluzione più facile, rischiano l’ovvio ma hanno dalla loro la convinzione dell’esploratore. Se volessimo definire con una sola immagine il campo completo degli esempi, potrebbe essere proprio il tema dell’esploratore straziato e felice quello più risolutivo e convincente. La poesia cammina.

MODULANDO E RIMODULANDO
 
 Modulando e rimodulando
radio maria subalpina
imminet super nos a lambda
novantacinque e quattrocento
stazione -se ho ben udito –
quarta d’italian christian network.
All’oblativo sound stereotipato
dei jesus’ rocksinger (refrain in diesis
sintetizzando finti fiati e corde)
visceralmente e languide in memoria
cantifère altoparlate di muezin
sgrumano sinusoidi nelle sure.
Modulando e rimodulando
sulla statale del Sempione
ancor prima di Castelletto
– tre bande a destra, un megahertz
in più – colgo già le adenoidee
e chiare emittenze di hare krishna.


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DOW JONES L’IMPERATORE
 
Tu sì certissimo, Dow Jones,
tu sicurissimo, nei tuoi scarti,
nell’up and down che sospende i fiati:
imperatore e puttaniere.
Il tuo indice/medio
dito (dita?) impurissimo
je l’ai deja vù in cattedrali
e turiboli, in arsenali
e cunicoli dejà vù, deja vù
in lupanari e postriboli,
nel caos semantico talora in effige
trigono e barbuto, in bello stile
non saprei come dire, ma dico:
quasi art decò.






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