I “Vuoti d’aria” di Moka

Moka, Vuoti d’aria, Le Mezzelane, 2021
Prefazione di Simone Santi, postfazione di Claudio Ardigò

Ci spiega Monica Zanon, in arte Moka, nella sua Nota introduttiva che «Il “vuoto d’aria” accade quando l’elicottero perde improvvisamente quota [ed] è la metafora perfetta che rappresenta ciò che accade nel volo della mia vita: la dinamica delle turbolenze destabilizza la quotidianità, (ri)aprendomi alla meraviglia, al dialogo con la Poesia, perché il vuoto d’aria è l’innesco per comprendere i pieni».

Si delinea da subito, quindi, e si conferma già dai primi testi, la macroarea della poetica di Moka: declinata in prima persona singolare, la narrazione dell’io poetico assume, già dall’incipit del primo componimento, i caratteri della matrice autobiografica e i toni riflessivo-confessionali: «Ho volato volato volato/ sui tempi d’oro/ della gioventù dirò,/ ho camminato/ su storie incredibili».

Non a caso il lemma più ricorrente nella raccolta è «vita» e gravita attorno ad esso un nugolo di parole satelliti, tra i quali «sogno» («un sogno irraggiungibile chiamato vita»), «anima», «poesia», che costituiscono chiare tracce del modus lirico-meditativo. Si potrebbe anche, solo in alcuni testi, essere dirottati verso un timbro solipsistico, ma si pone il dubbio da che altra parola chiave orienta, invece, altrove da sé, ed è «occhi» («occhi/ scrutano menti fantasiose»; «vibranti veglie/ negli occhi di chi torna»; «le nebbie degli occhi»; «le erbe fioriscono/ in occhi e pelle»).

Ma sono ancor più, all’interno della cornice tracciata, la tessitura dei versi («poeta di versi liberi»), una sobria originalità degli accostamenti verbo/soggetto e sostantivo/aggettivo e alcune coloriture dell’indefinito e dello sfuggente («nebbia», «trucchi», «allucinazioni», «visioni appannate», «l’invisibile è la forma più vera») che collocano la lettura fuori dal recinto della prevedibilità e della scontatezza; inoltre altri rivoli affluiscono nell’alveo della raccolta dall’uso ripetuto di figure dell’infanzia, con una certa aura magico-fantastica.

Soprattutto la specificità della raccolta viene a svilupparsi proprio attorno alla metafora del vuoto d’aria, in particolare correlazione con le dinamiche del volo: «Farsi grandi per riempire/ il vuoto assoluto»; «un fremito il vuoto d’aria/ la messa in moto e l’hovering»; «M’immergo in un mondo tutto mio/ Il suono dell’elicottero/ Il vuoto» ecc. Non è un caso – e ci motiva quel senso di autenticità e sincerità che pervade la raccolta, per quanto compatibili con la necessaria invenzione poetica – che Monica-Moka di professione, ci informa la nota biografica, è perito meccanico e lavora in una ditta di manutenzione elicotteri.
Vita e poesia, dunque come connubio base della poetica di Vuoti d’aria.

Per sincerità di lettore constato, infine, come la maggiore originalità e la migliore resa comunicativa (da non confondersi con la semplicità comunicativa, ma – in poesia – con l’equilibrio di detto e non detto, di chiarità e penombra) si ritrovi laddove l’introflessione meditativa e rievocativa lasci più spazio alla ricchezza semantica con cui si compie la traduzione in logos della varietà degli impatti sensoriali del mondo, sia esso pieno o sorprendentemente vuoto.

(A.R., agosto 2022)



Spettri curiosi

Quando le nebbie
 s’infilano nei pertugi
 incerti inverni emiliani
 avanzano spettri curiosi,
 dietro le siepi di bacche
 pelo irto di spine
 e occhi
 scrutano menti fantasiose.
 Ritorno su cui scollinare,
 ripetere l’affondo dell’attesa,
 di un altro incontro,
 ma la nebbia dissolta
 svela i suoi trucchi.
 Dietro il velo di malinconia
 solo vasche per l’abbeveraggio.
 
(pag. 20)




Allucinazioni sonore

Cigolii ferroviari
rimandano a ricordi vocali,
allucinazioni sonore
 delle feste comandate.

 Sulla collina vivono i mostri,
 uomini neri condensati
 in realtà affamate.

 Sulla collina radica la poesia
 tra sogni crespi e pizzicori
 d’inverni assonnati.
 
(pag. 21)




Un mondo tutto mio

M’immergo in un mondo tutto mio
Il suono dell’elicottero
Il vuoto,
so quando arriva il temporale dal Lago:
la voce del vento raccoglie terra bianca e luce,
la pioggia esalta il profumo del gelsomino
insieme arriva un’ora del giorno
in cui vorrei abbracciarti.

Il Lago è profondo respiro
buio che scuce lucidi sogni,
penso a quante cose ho da dire
passeggiando mi metto addosso
profumo di rose e fico.

(pag. 33)




La siccità del vuoto

 Si svuota la casa
 in poco tempo,
 i vestiti i cappotti,
 non resta nulla di sé,
 restano i muri a secco
 resta la siccità
 del non detto.

(pag. 42)




Meccanica delle vibrazioni poetiche

 Una poesia inoltrata, elevata
 appena l’oltre del sogno
 Abita ancora le nebbie degli occhi,
 Lì intravedo il tuo percorso scosceso:
 sconvenevoli le particelle di rugiada
 solleticano la tua mente misurata
 dalle vibrazioni meccaniche,
 ogni esperienza è la soluzione
 alla sollecitudine dei vuoti.

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Moka è nata nell’inverno del 1982, indigena di Solcio di Lesa, è perito meccanico e per vent’anni ha lavorato nel campo dell’ala rotante. Durante gli studi tecnici ha incontrato la Poesia che è diventata una presenza necessaria per comprendere se stessa e il mondo. Nel 2014 ha fondato l’Associazione Licenza Poetica. Crea e collabora all’organizzazione di eventi letterari, come la Fiera del Libro di Cremona. Ha diverse pubblicazioni all’attivo (www.mokaend.com). È curatrice della collana digitale “I Girini” di poesia de Il Babi Editore, con quest’ultimo nel 2021 ha pubblicato “Metamare”, il suo romanzo epistolare.

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