Su “Domestiche abitudini” di Giorgio Casali

Giorgio Casali, Domestiche abitudini, Poesie 2004-2019, Contatti Ed., 2020

Il giovane poeta modenese Giorgio Casali, classe 1986, ci consegna con Domestiche abitudini (edito nel 2020 dalle Edizioni Contatti, nella collana Rubedo, diretta da Massimo Morasso) una raccolta, che scorre nel tempo della sua vita come un largo fiume dai diversi rami. Le diverse aree del racconto poetico (racconto in senso figurato, che si tratta di testi in versi, salvo occasionali brevi prose) corrispondono, in una prima rappresentazione, alle diverse sezioni del volume: L’odore dei morti, Le strade, Domestiche, Il Giardino, Dai morti, Stanze per il figlio e, per ultima, composta da una sola poesia, Alla luce. Trattandosi, in qualche modo, di un diario di vita, che anche solo come date di composizione dei testi copre quasi mezza vita del poeta, è naturale che le acque scorrano con ampi scambi e coloriture ubique e trasversali. In uno dei testi della prima sezione, ad esempio, si legge delle “domestiche abitudini”, che ritroveremo come titolo della sezione centrale – in tutti i sensi – della raccolta. Un ambiente spazio-temporale omogeneo, con le diverse stanze e vicende meglio focalizzate nelle diverse sezioni.

Prim’ancora che con le vicende e le riflessioni narrate, l’incontro immediato avviene con la misura sobria, ma elegante della scrittura. Senza forzature sintattiche e ritmiche, il dettato di Casali colpisce per la matura rotondità del verso e per la musicalità dei versi, pur senza il ricorso a metri fissi e perseguendo un andamento narrativo. Esemplifico con i versi iniziali di Inchinami a ciò che di me è più grande (pag. 22), dove un doppio settenario, un novenario e due endecasillabi si accostano con grande cantabilità.
«Portami in faccia ancora il vento
e le luci da sopra la collina
raccontami famiglie, il borgo del paese,
le piante che dovevi arrampicare.»
La quasi assenza, nell’intera raccolta, di versi sdruccioli, contribuisce alla fluidità ritmica, che sembra comunque frutto di una libera sensibilità, piuttosto che di una rigida progettualità. Non stupisce, riscontrata la maturità versale del poeta, che abbondino negli eserghi voci forti – ma selezionate- del Novecento, da Pavese a Zanichelli, da Solmi a Viviani, nel campionamento che si estende ampio tra Cardarelli e Giovanni Lindo Ferretti.

Nell’arco temporale della sua scrittura Giorgio Casali, orienta sguardi, parole e riflessioni, ponendosi al centro delle vicende (con l'”io” o con il “noi”), raccogliendo esperienze e memorie, che vedono l’aggettivo e il sostantivo del titolo come pietre di confine del suo osservatorio. E’ l’autore stesso che ce ne dà conto: «Domestiche perché molte poesie sono ambientate proprio tra le mura di casa, in alcune stanze. E abitudini per la dimensione familiare e, appunto, abitudinaria. E poi questo discorso vale anche fuori dalle mura domestiche, anche le strade, anche il pensiero sulla morte e sulla vita sono diventate consuetudini, abitudini della mia poesia»1.
Ecco, il pensiero sulla morte e sulla vita: questa mi pare una delle tracce più fonde nell’opera. Una delle sezioni che mi paiono più efficaci, mediando il personale e l’universale, l’umano e il celeste («amore perfetto che sei rannicchiato/ in un combacio preciso di forme»; «Il paradiso è abbracciarti/ sapere che vicino/ c’è tua madre») è Stanze per il figlio che non si esime, aldilà del profilo intimistico, di sondare, come nell’ultimo testo-sezione, il mistero della vita che sorge. Ma quasi prevalente, o almeno in denso bilanciamento, è la riflessione sulla morte, che trova espressione in due sezioni, tra cui quella di apertura, L’odore dei morti. L’odore ci fa immaginare una percezione sensoriale, arcaica e fondante, quasi animale. Una scoperta nuda che precede l’avvio della ragione. Così come nell’intaglio del bambino decenne che era Giorgio in ’96 (pag. 16):

’96

«È morto prima di morire,
guarito un giorno per andare
avanti a morire un altro giorno.
E lì, bambino, ho saputo
della fine, che cosa è terra
e cosa Cielo: muore, mio padre,
prima di morire.»

Dall’aura memoriale pre-razionale della prima sezione, la riflessione sulla morte si fa più “adulta” e composita in Dai morti, corposa e tripartita sezione della seconda metà del volume (per inciso merita osservare l’ottima architettura della raccolta, che – anche grazie alla sua omogenea e costante qualità – sa mantenere alta l’attenzione del lettore per tutto il percorso). L’autore, che già in Diarietto cattolico, del 2016, affrontava i temi della fede e dell’eternità, traccia diverse frecce verso un piano religioso e un Cielo metafisico dove «non c’è più dolore» («Angelo mio, Angelo mio Custode:/ in quale stanza alloggi/ fuori dal mio cuore»; «dov’è l’Altare – / dov’è mia Madre»; «Libera me, Domine, Signore»). Ma tra i numerosi interrogativi (tra i quali l’emblematico «dove sei nascosto?») fermenta il necessario lievito del pensiero.

Non manca nell’ampio stendersi della raccolta, la riflessione su ciò che l’ha resa possibile, ponte tra sé e l’altro, cioè la parola poetica. Materializzazione improvvisa e necessitante: «La poesia non è una cosa astratta ma/ un singolo verso scritto di sbieco/ che lascia due macchine dietro a/ strombazzare/ quando sul ciglio mi son fermato male» (p. 33); «è un pensiero che non lascia dormire». Soprattutto evento, dotato di propria forza, in grado di com-prendere e ridefinire le coordinate dell’umano vivere:

Parola che arriva

Arrivi, t’insinui dove non immaginavo
spossante imprevedibile parola
arrivi e ti mescoli col cuore –
pronunciata ci pronunci
e tutto ricominci.
(pag. 53)


ALCUNI TESTI DA “DOMESTICHE ABITUDINI”

Il tuo non esserci è già caldo di te2

Se la luce su cui posso contare
è il fatuo delle lucciole stasera
e sento nella casa addizioni di silenzi,
della tua assenza (non ascoltarti
rovistare negli armadi, ordinare
dove serve la cucina…)
mi prende un dolore di mancanza,
mi sembra un’abitudine
star solo.

(da Domestiche, pag. 61)


* * *
Che male adesso questa luce che non vedo,
la luce che passa dagli occhi
e mi pulisce il cuore:
fa male scrostare – fa bene.
Io sono un vecchio corpo

(da Dai morti, pag. 113)



* * *
Anch’io come tu fai mi dimenavo
piangevo nel trovarmi fuori sguardo,
splendevo se c’era lì mio padre
guardarmi nella bocca e nelle mani,
tossirmi di fianco passando vicino;
ed ero strapieno e felice
di festa completa che è radice
quella del fiore nella terra del sole
del prete nell’ostia che consacra
e non sapevo ancora di parole,
dei riscatti, le altre gioie
della luce.

(da Stanze del figlio, pag. 127)


1 – Un viaggio tra i temi della nostra vita nelle “Domestiche abitudini” di Casali, su La Gazzetta di Modena, 10 luglio 2021
2 – Traduzione di un verso di R.M. Rilke, da Requiem e altre poesie



Giorgio Casali è nato nel 1986 e vive a Fiorano, in provincia di Modena. Ha pubblicato i libri di poesia Attaccamenti (Albatros, 2010), Notte provincia (Edizioni clandestine, 2011), Poesie (autoproduzione, 2012), Sotto fasi lunari (Incontri editrice, 2013) e Diaretto cattolico (Giuliano Ladolfi editore, 2016). Con il pittore Andrea Chiesi ha dato alle stampe il catalogo d’arte 19 paintings 19 poems (Italian Cultural Institute of New York, 2014), dal quale è stato estratto lo spettacolo Forma Suono Parole, con la collaborazione musicale dei Divisione Sehnsucht.

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