Su “L’Arco e la Lucerna”, di Matteo Maragna.


di Daniele Santoro

Matteo Maragna, L’Arco e la Lucerna, Aurora Boreale Ed., 2022
Prefazione di Alfredo Rienzi, postfazione di Mario Marchisio
Illustrazione di copertina: Colonne (2020) di Carola Allemandi


Opera seconda, dopo Omero non guardarci così (2019), è questo L’Arco e la Lucerna (Edizioni Aurora Boreale, Prato, 2022) del giovane eporediese Matteo Maragna; autore già maturo e consapevole dell’ars poetica e della deferenza che le si deve, come recita, non a caso, il testo proemiale “Abbi rispetto per il poeta” con cui il nostro avverte da subito l’esigenza di invitarci a riflettere su quanto impegno serva e con quanta cautela si debba maneggiare “il concetto di creazione”.
Introdotta da una nota autoriale, in cui sono esplicitate le ragioni del libro, “conseguenza di un sogno dal complesso simbolismo archetipico”, l’opera si divide in quattro sezioni, ognuna rispondente a una tappa del viaggio dell’Io che, come il folle filosofo di Sinope con la sua lanterna sotto l’arcuato cielo, va cercando caparbiamente il senso dell’essere, ma anche come l’attore di Aristotele che si aggira tra le ombre in cerca di quel quid ineffabile e sfuggente che muove il grande, primario interrogativo dell’Uomo intorno alla vita, “continuo divenire, / latrato che diventa eco, infine” (p. 107). In ciò il libro rivela un’intrinseca forza: quella della solitudine, talora reietta, del suo cantore, novello Prometeo, orgoglioso di appartenere “alla specie dei roveti” (p. 18), “conscio di vivere sepolto” (p. 32) in un tempo sempre più egoistico, in cui “nessuno al mondo di te domanderà: / Dio forse solo, a cui la notte chiedi / un corpo nuovo che emani integrità” (p. 21), ma non per questo tuttavia ripiegato in sé, chiuso a un afflato di amore che sollevi oltre le brutture, oltre l’umana infimità, pronunciato invece verso “la chiara luce” che disperda le tenebre dell’iniziale nichilismo e susciti incanto “come il vespro / che alla sera intonano i gabbiani” (p. 78), come il leggero moto del gatto, come la “magnificenza / di linee tortuose,” (p. 85) dell’albero, come “del fiume / l’inafferrabile bellezza” (p. 107).
Ne consegue un canto intenso e teso, animato dal piglio cinico, talora rabbioso, del reprobo, ma anche eticamente alto e solitario, fatto il suo autore “preda di improbabili estasi poetiche” (p. 25), “fiera ferita” (p. 37) in una realtà che isola, mortifica e allontana dall’umano consorzio pensante o piuttosto relega in un sottobosco non risparmiante alcun luogo d’Occidente o d’Oriente, a ricordarci in fondo “la fatuità dell’uomo” e “l’oscura vanità” (p. 19), a rinnovarci “le pene dell’umanità” (p. 79), ad alimentarci “sofferti pensieri” (p. 77); mondo in cui la voce dolorosa, seppur non doma, del poeta recupera il proprio passato al presente legandolo al trascorso del mito, in un annullamento del tempo lineare, sicché la scrittura si fa, al contempo, confessione privata e sfogo, risentimento caustico e voce varcata da tenue lirismo anelante a una bellezza sovrana, al cui cospetto “si trema. Si muore” (p. 48)” (si noti la pregnanza del verso, rigorosamente scandito in due emistichi, di cui al punto fermo, e in climax ascendente). È, dopo l’esperienza – diremmo – infernale e purgatoriale, che impronta le prime due parti del libro, l’atteso finalmente approdare del Nostro e del lettore/compagno di viaggio a una bellezza archetipica, raggiunta per labirinti onirici e visionari o per “meridiani e paralleli di pensieri” (p. 30), per luoghi altissimi o disabitati, “dove gli occhi di Dio / si sono fermati” (p. 44); lettore/compagno di viaggio invitato da Maragna ad ascoltare, a partecipare di un universo interiore raccolto in una lacrima, “oltre la lacrima” (p. 30), o a cui affidare “questo laido testamento”, testimonianza di un “verbo quotidiano” che attesti l’esserci stati nel mondo, “prima che l’orma di un angelo incorrotto / […] conduca altrove” (p. 32).
Rispondente all’esigenze del canto è lo stile della raccolta all’insegna di una varietas metrica che alterna versi brevi e versicoli a versi più prosaici, atti a rendere rispettivamente l’urgenza del dire o un più pacato e sereno bisogno di abbandonarsi alla rievocazione; poesia che ha, pertanto, il guizzo dell’epigramma, come nei testi di “Meditazione” o nel distico di “Alessandro accanto a Diogene” che “guarda lo splendore del sole” (p. 119), ma anche il respiro largo e riflessivo come in “La carcassa” o in “Cattivo ladrone”.
Al centro dunque l’Io del poeta, come si è detto, ma anche una natura composita che indulge al mesto o al trionfale – beninteso – non traducendosi mai in mera rappresentazione bozzettistica quanto in terso specchio dell’anima, in un profluvio di suggestive immagini poetiche protagoniste delle quali è ora “un albero perfetto” (p. 50), ora un “mare in moltitudini di gocce, lieve e coese. In gara col vento”, ora “un’alba anomala dopo il tramonto” (p. 92), ora “l’imponente mulino / che sferza il cielo” (p. 48), ora anche la “torre desolata, schiena animosa, pace dei natanti” del golfo di La Spezia, dulcis in fundo e in chiusa di libro, la delicata figurazione del poeta che incede, “di stupore in stupore, / come aria nell’erba che ignora / di ogni filo accarezzato il nome” (p. 123).



Selezione di poesie (di A.R.)


Sotto il terzo ponte

Mio antico, minuto amore,
con le dita di granito
suonavamo la nostra chitarra
sul fiume del Terzo Ponte.
Hai violato gli accordi più puri
gemendo nel tocco. Fu naturale.
Nulla tra noi intonava il vero,
nemmeno l’aria che l’estate
conserva per sé, avara.
Un giunco taceva, e lì accanto,
viscido, mentiva il sasso.
L’omertà dell’umbratile sera
involse in un fagotto il mio dolore,
abbracciato alla terra ferma:
fu questo l’ultimo saluto
alla zattera della tua tristezza.



Adorno di foglie

Io sono al di là di quelle colline,
piccole dune boscose
dietro l’imponente mulino
che sferza il cielo;

Gracili seni orizzontali
mi nascondono.
No, non andrò ad allattarmi di pace
avvinghiandomi ad essi.

Io. Io piccolo: mi conoscete.
Non cercatemi dietro alle colline,
non venite con me a scoprire la bellezza.
Si è soli di fronte ad essa,
si trema. Si muore.

Non lasciate appese ai miei lobi
perle di consigli su come sopravvivere.
Non innamoratevi.
Non desiderate la roba di nessuno.
Non concepite il mio nulla.



Il sestante interiore

E dove andrai ora?
Hai già ignorato
che l’Oriente è falso
come l’Occidente?
Tutti i luoghi della terra
hanno nel loro nome
un suono che ricorda
la fatuità dell’uomo.



Sogni

Tornisco sogni. Semplici, mai contorti.
Una misera paga, un ingrato compenso.
Nelle mie mani, imbrattate d’olio,
io contemplo le lacrime del mondo.
E della mia terra, di cui non son figlio.
E come il tornio gira incessante,
dilaniando la materia dura,
la mia anima volteggia.
Ed insegno a pensare.
Ed imparo ad amare.



Pistis Sophia

Tieni! Questa luce che
non è per gli uomini
separa oltre il tempo
il tuo corpo dalla terra,
nel sempiterno inverdire.

Perenne innamorato
del mio volto che si cela
oltre le ignare nubi,
nella grazia del pianto
il mio cuore si concede.

La tua devozione
è malpagato prezzo,
che ora saldo a malincuore
sussurrandoti all’orecchio
i misteri del mondo:
non sono che l’amore
inscritto nelle menti.

Cogli questi doni
mai nati dal carnale
involto di passioni.
Curali e vivendo
più non sarai mio servo
ma amico prediletto.



Quando il buio muore

Le illusioni svaniscono alla luce,
ogni oggetto reclama fratellanza
– la chioma di una siepe sfiora
lamiere brune in cima al tetto;
lontano, un balcone si è acceso
laddove tutto pareva spento:
lentamente, morendo a noi stessi,
riemerge, oscuro, un divino progetto.




Dono della morte

Per chi, come me, a lungo l’ha bramata
quando la barba era rada sul volto,
la Morte serba giovinezza prolungata,
o ne crea in fattezze l’illusione;
questa mia vita, come un’alba rallentata,
impunemente nasconde il suo tramonto.

Acquista il libro ➡

Sullo stesso Autore leggi anche, nel blog:
“Hafsa’s suite”, inediti, di Matteo Maragna, 23 agosto 2023
Paolo Pera legge Stalker, da L’Arco e la Lucerna di Matteo Maragna
Il sogno e il viaggio. Su L’Arco e la Lucerna, di Matteo Maragna (di Alfredo Rienzi)
Poesie inedite di Matteo Maragna, 11 maggio 2022
Tre inediti di Matteo Maragna, 17 marzo 2021
“Il rimprovero d’Omero”, di Paolo Pera su “Omero, non guardarci così”, di Matteo Maragna





2 Comments

Lascia un commento